Iran: “Le autorità coprono i loro crimini minacciando le famiglie delle vittime minorenni”

10 Dicembre 2022

©Amnesty International

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Aggiornando le proprie ricerche, Amnesty International ha reso note le generalità e altri dettagli di almeno 44 minorenni uccisi dalle forze di sicurezza iraniane durante le proteste in corso e ha denunciato i metodi crudeli con cui le loro famiglie vengono costrette a restare in silenzio e sono ostacolate nello svolgimento di funerali e commemorazioni.

Secondo le ricerche di Amnesty International, 34 dei 44 minorenni sono stati uccisi da proiettili mirati al cuore, al capo e ad altri organi vitali. Altri quattro sono stati uccisi da pallini di metallo esplosi da breve distanza; cinque, tra cui una ragazza, sono morti a seguito di pestaggi; infine, una minorenne è morta dopo essere stata colpita al capo da un candelotto lacrimogeno.

L’età di 39 delle vittime di sesso maschile andava dai due ai 17 anni; una bambina aveva sei anni, le altre quattro tra i 16 e i 17 anni. 

I minorenni rappresentano finora il 14 per cento del totale delle persone uccise durante le manifestazioni. In 12 casi le autorità iraniane hanno attribuito le loro morti ad “azioni di terroristi”, suicidi, overdose, morsi di cani o incidenti stradali.

Il 60 per cento dei minorenni uccisi dalle forze di sicurezza apparteneva alle minoranze oppresse baluci e curda: 18 delle 44 vittime erano baluci, 10 curde. 

Le autorità iraniane minacciano regolarmente le famiglie delle vittime per costringerle a stare in silenzio o ad accettare la narrazione ufficiale che assolve le forze di sicurezza da ogni responsabilità. In almeno 13 casi, hanno dovuto approvare la versione delle autorità in forma scritta o attraverso video poi trasmessi dalle tv di stato iraniane. Nel caso in cui si oppongano, i parenti delle vittime sono minacciati di arresto, morte, stupro e uccisione di altri minorenni della famiglia oppure viene detto loro che i loro cari verranno sepolti in luoghi sconosciuti o che le salme non verranno restituite per i funerali. In alcuni casi, i familiari sono stati obbligati a seppellire i loro cari in località remote, a non usare la parola “martire”, a non produrre manifesti coi loro volti e a non condividere immagini sui social media.

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