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Amnesty International denuncia la brutale repressione del dissenso in Iran: “Il 2018 anno della vergogna, oltre 7.000 arresti”
Nel 2018 le autorità iraniane hanno portato avanti una spudorata campagna repressiva contro il dissenso, stroncando proteste e arrestando migliaia di persone.
Lo ha dichiarato oggi Amnesty International, a un anno dall’ondata di proteste contro la povertà, la corruzione e l’autoritarismo che presero il via in tutto il paese.
Nel corso del 2018 oltre 7000 persone – manifestanti, giornalisti, studenti, ambientalisti, operai, difensori dei diritti umani, avvocati, attiviste per i diritti delle donne e delle minoranze e sindacalisti – sono state arrestate, in molti casi in modo arbitrario. A centinaia sono stati condannati a pene detentive o alle frustate e almeno 26 manifestanti sono stati uccisi. Altre nove persone, arrestate in relazione alle proteste, sono morte durante la detenzione in circostanze sospette.
“Il 2018 passerà alla storia come l’anno della vergogna in Iran. Per tutto il tempo le autorità hanno cercato di ridurre al silenzio ogni forma di dissenso inasprendo la repressione ai danni dei diritti alla libertà d’espressione, di associazione e di manifestazione pacifica e compiendo arresti di massa di manifestanti”, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche di Amnesty International sul Medio Oriente e l’Africa del Nord.
“L’impressionante numero di arresti, condanne e sentenze alla fustigazione rivela fino a che punto estremo le autorità sono arrivate pur di sopprimere il dissenso pacifico”, ha commentato Luther.
Lungo tutto il corso dell’anno ma soprattutto nei mesi di gennaio, luglio e agosto, le autorità hanno disperso con la violenza manifestazioni pacifiche, picchiando manifestanti privi di strumenti di offesa, usando proiettili veri, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua e arrestando arbitrariamente migliaia di persone.
Durante le manifestazioni di gennaio sono stati arrestati molti giornalisti, studenti e difensori dei diritti umani, così come i dirigenti di Telegram, l’applicazione di messaggistica usata per diffondere informazioni sulle proteste e mobilitare i manifestanti.
Complessivamente, nel 2018 sono stati arrestati arbitrariamente, sia durante le proteste che nell’ambito del loro lavoro, 11 avvocati, 50 operatori dell’informazione e 91 studenti.
Almeno 20 operatori dell’informazione sono stati condannati a lunghi anni di carcere o alle frustate al termine di processi iniqui. Mohammad Hossein Sodagar, un giornalista della minoranza turca della regione dell’Azerbaigian, è stato frustato 74 volte nella città d Khoy per aver “diffuso notizie false”.
Un altro giornalista, Mostafa Abdi, amministratore del sito Majzooban-e-Noor che denuncia le violazioni dei diritti umani ai danni della minoranza religiosa dei gonabadi, è stato condannato a 26 anni e tre mesi di carcere e a 148 frustate, oltre ad altre pene accessorie.
In totale, nel 2018 112 difensore dei diritti umani sono finite o hanno continuato a rimanere in carcere.
Le difensore dei diritti umani
Il coraggioso movimento delle difensore dei diritti umani ha aderito alle proteste, convocate per tutto l’anno nel paese per protestare contro le invadenti e obbligatorie norme sull’obbligo d’indossare lo hijab.
Tante donne sono scese in strada e, una volta scelto un luogo pubblico rialzato e in evidenza, si sono tolte il velo, lo hanno fissato a un bastoncino e hanno iniziato a sventolarlo. Le autorità hanno reagito attraverso aggressioni violente, arresti, maltrattamenti e torture. Alcune di loro sono state condannate al termine di processi gravemente iniqui.
Shaparak Shajarizadeh è stata condannata a 20 anni di carcere, 18 dei quali sospesi, per aver protestato pacificamente contro l’obbligo d’indossare lo hijab. Dopo aver pagato la cauzione per il rilascio, ha lasciato l’Iran. Dall’estero, continua a denunciare le torture subite durante la detenzione in isolamento e l’impossibilità di essere difesa da un avvocato nel corso di quel periodo.
Nasrin Sotoudeh, la celebre avvocata per i diritti umani che ha poi assunto la difesa di Shaparak Shajarizadeh e di altre donne che avevano protestato contro l’obbligo d’indossare lo hijab, è stata arrestata il 13 giugno 2018. Oltre ai cinque anni di carcere che sta già scontando per la sua opposizione alla pena di morte, rischia una condanna a oltre 10 anni per svariati reati contro la sicurezza nazionale.
“Per tutto il 2018 le autorità iraniane hanno portato avanti una campagna particolarmente minacciosa contro le difensore dei diritti umani. Invece di punirle spietatamente perché rivendicano i loro diritti, le autorità dovrebbero porre fine alla discriminazione e alle violenze, radicate e dilaganti, nei confronti delle donne”, ha sottolineato Luther.
Diritti dei lavoratori e sindacalisti
Lo scorso anno la crisi economica si è acuita provocando numerosi scioperi e manifestazioni per rivendicare migliori condizioni di lavoro e chiedere protezione al governo. I ritardi o il mancato versamento dei salari, insieme agli alti livelli d’inflazione, hanno fatto salire alle stelle il costo della vita e sono stati a loro volta causa di proteste.
Invece di venire incontro alle loro richieste, le autorità iraniane hanno arrestato almeno 467 lavoratori tra cui operai delle industrie, insegnanti e camionisti. Altri sono stati convocati per interrogatori, altri ancora sono stati sottoposti a maltrattamenti e torture. Sono state inflitte decine di condanne a pene detentive e 38 lavoratori sono stati sottoposti a un totale di quasi 3000 frustate.
Il 10 maggio a Teheran è stata violentemente dispersa una manifestazione pacifica degli insegnanti, che chiedevano salari più alti e più fondi per l’istruzione pubblica. Nelle altre proteste di novembre e dicembre sono stati arrestati almeno 23 insegnanti: otto sono stati condannati a pene detentive da nove mesi a 10 anni e mezzo di carcere, a 74 frustate e ad altre pene accessorie.
Nel corso del 2018 sono stati arrestati almeno 278 camionisti, alcuni dei quali minacciati persino di condanna a morte, a seguito degli scioperi convocati a livello nazionale per chiedere salari più alti e migliori condizioni di lavoro.
A febbraio e novembre hanno scioperato anche i lavoratori della Haft Tapeh, un’azienda di Shush che produce canna da zucchero.
“Dagli insegnanti sottopagati agli operai delle fabbriche che stentano a dar da mangiare alle loro famiglie, coloro che oggi in Iran rivendicano i loro diritti pagano un prezzo alto. Invece di prendere in considerazione le richieste dei lavoratori, le autorità hanno risposto col pugno di ferro, arresti e repressione”, ha detto Luther.
Appartenenti a minoranze etniche e religiose
Durante il 2018 la repressione si è intensificata anche nei confronti delle minoranze etniche e religiose, con centinaia di arresti e ulteriori limitazioni all’accesso all’istruzione, all’impiego e ad altri servizi.
Un giro di vite particolarmente aspro ha riguardato la minoranza religiosa dei dervisci gonabadi, il più grande ordine sufi dell’Iran. Dopo il violento scioglimento di una protesta nel febbraio2018, centinaia di loro sono stati arrestati e oltre 200 sono stati condannati a un totale di 1080 anni di carcere, 5995 frustate oltre che all’esilio interno, al divieto di viaggiare all’estero e a quello di aderire a gruppi sociali e formazioni politiche. Uno di loro, Mohammad Salas è stato condannato a morte al termine di processo fortemente irregolare e messo rapidamente a morte.
Nel corso dell’anno, secondo dati forniti dall’associazione Articolo 18, sono stati arrestati almeno 171 cristiani, colpevoli solo di aver praticato pacificamente la loro fede. Alcuni di loro sono stati condannati persino a 15 anni di carcere.
Le autorità hanno portato avanti la loro sistematica persecuzione ai danni della minoranza religiosa baha’i: secondo l’organizzazione Baha’i International Community, almeno 95 fedeli sono stati arbitrariamente arrestati e hanno subito ulteriori violazioni.
Centinaia di persone delle minoranze etniche – tra cui gli arabi ahwazi, i turchi azerbaigiani, i baluchi, i turcmeni e i curdi – hanno subito varie forme di discriminazione e sono state arrestate arbitrariamente.
Ad aprile, dopo aver protestato contro un programma televisivo in cui era stata mostrata una carta geografica sulle minoranze etniche che escludeva la popolazione araba, sono stati arrestati centinaia di ahwazi. Secondo attivisti in esilio a ottobre, dopo l’attentato mortale del mese prima contro una parata militare ad Ahvaz, oltre 700 ahwazi sono stati arrestati e portati in località sconosciute.
Centinaia di turchi azerbaigiani, tra cui attivisti per i diritti delle minoranze, sono stati arrestati in relazione a pacifiche iniziative di taglio culturale organizzate nel corso dell’anno, soprattutto a luglio e agosto, quando sono stati eseguiti almeno 120 arresti. Alcuni attivisti sono stati condannati al carcere e alle frustate. Uno di loro, Milad Akbari, è stato frustato a Tabriz, nella provincia dell’Azerbaigian orientale, dopo essere stato giudicato colpevole di “turbamento dell’ordine pubblico” per aver “preso parte a riunioni illegali e aver cantato canzoni eccentriche” nel corso di un incontro culturale.
Attivisti per i diritti dell’ambiente
Durante il 2018, secondo fonti di stampa, sono stati arrestati almeno 63 difensori e ricercatori ambientalisti. Diversi di loro sono stati accusati, senza esibire alcuna prova, di aver raccolto informazioni riservate su aree del paese considerate strategiche, con la scusa di portare avanti progetti sull’ambiente e di natura scientifica. Almeno cinque di loro sono stati accusati del reato di “corruzione sulla Terra”, che prevede la pena di morte.
“Per tutto lo scorso anno le autorità iraniane hanno cercato di schiacciare lo spirito dei manifestanti e dei difensori dei diritti umani eseguendo arresti di massa e persino grottesche condanne alla fustigazione”, ha sottolineato Luther.
“I governi impegnati nel dialogo con l’Iran non devono rimanere in silenzio mentre il reticolo della repressione continua ad allargarsi. Devono protestare nei termini più forti possibili contro la repressione e chiedere con vigore alle autorità iraniane di rilasciare immediatamente e senza condizioni tutte le persone finite in carcere per aver esercitato in forma pacifica i loro diritti alla libertà d’espressione, di associazione e di manifestazione, anche attraverso il loro attivismo per i diritti umani”, ha concluso Luther.
Roma, 24 gennaio 2019
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