Iran: repressione nei confronti dei curdi iraniani

29 Luglio 2008

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Amnesty International chiede all’Iran di porre fine alla discriminazione nei confronti della minoranza curda

CS105-2008: 30/07/2008

In un nuovo rapporto pubblicato oggi, Amnesty International ha dichiarato che il governo iraniano sta venendo meno al suo dovere di prevenire la discriminazione e le violazioni dei diritti umani contro i cittadini curdi, in particolare le donne. Secondo l’organizzazione, la repressione nei confronti dei curdi iraniani, soprattutto dei difensori dei diritti umani, sta aumentando.

Il rapporto di Amnesty International cita esempi di discriminazione religiosa e culturale, così come nel campo dell’abitazione, dell’educazione e dell’impiego, contro i circa 12 milioni di curdi che vivono in Iran, il 15 per cento della popolazione del paese. A venir presi soprattutto di mira sono i difensori dei diritti umani e i giornalisti.

La Costituzione iraniana stabilisce l’uguaglianza di tutti gli iraniani di fronte alla legge. Ma, come denuncia il nostro rapporto, questo non vale per i curdi. Il governo di Teheran non ha preso misure adeguate per porre fine alla discriminazione e al ciclo di violenza che colpisce le donne, né tanto meno per punire i responsabili‘ – si legge nel rapporto.

Le donne curde che lottano per i propri diritti si scontrano con un duplice ostacolo: fanno parte di una minoranza etnica emarginata e vivono in una società fondamentalmente patriarcale.

Sebbene costituiscano la spina dorsale dell’economia delle aree curde, le donne e le bambine sono sottoposte a rigidi codici sociali, usati per negare i loro diritti umani. A causa di questi codici, può risultare molto difficile per le autorità indagare sulle ineguaglianze nel campo dell’educazione, sui matrimoni precoci e forzati, sulla violenza domestica e sulle tragiche conseguenze di alcune di queste violazioni, come i ‘delitti d’onore’ e i suicidi.

Le donne curde subiscono violenza quotidianamente e vengono discriminate dalle autorità e dalla propria comunità, compresi i familiari. Il governo iraniano è obbligato a esercitare la diligenza dovuta per sradicare la violenza contro le donne in casa e nella comunità, ma purtroppo ciò non sta avvenendo‘ – prosegue il rapporto.

Sebbene l’espressione della cultura curda, ad esempio attraverso l’abbigliamento e la musica, sia generalmente rispettata e la lingua curda sia utilizzata in alcune trasmissioni e pubblicazioni, questa minoranza continua a subire una discriminazione assai radicata.

Il rapporto di Amnesty International descrive alcuni recenti casi di violazioni dei diritti umani contro gli appartenenti alla minoranza curda:

nel febbraio di quest’anno, Farzad Kamangar, Ali Heydariyan e Farad Vakili sono stati condannati a morte per il reato di ‘moharebeh’ (azione ostile a Dio), al termine di un processo farsa. La condanna per ‘moharebeh’ viene inflitta a coloro che sono accusati di aver preso le armi contro lo Stato e di avere rapporti col Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, la formazione armata che compie attacchi in Turchia. Heydariyan e Vakili sono stati anche condannati a 10 anni di carcere, a quanto pare per aver falsificato documenti, da scontare prima dell’esecuzione. Kamangar, un insegnante di 32 anni, ha rifiutato di chiedere clemenza affermando che farlo avrebbe significato ammettere la propria colpevolezza. La sua condanna a morte è stata confermata l’11 luglio dalla Corte suprema e rischia di essere eseguita da un momento all’altro;

sempre quest’anno, a maggio, Mohammad Sadiq Kabudvand è stato condannato a 11 anni di carcere dalla 15a Sezione del Tribunale rivoluzionario di Teheran: 10 anni per ‘aver agito contro la sicurezza dello Stato mediante l’istituzione dell’Organizzazione per i diritti umani del Kurdistan (Hrok)’ e un anno per ‘propaganda contro il sistema’. Il verdetto è stato emesso al termine di un processo a porte chiuse. Amnesty International considera Kabudvand prigioniero di coscienza, condannato solo per aver esercitato, come giornalista e presidente dell’Hrok, il suo diritto alla libertà d’espressione e di associazione;

Hana Abdi, studentessa di Psicologia, è stata arrestata il 4 novembre 2007 a casa del nonno, a Sanandaj. È stata detenuta in isolamento per tre mesi. Nel giugno di quest’anno la 2a Sezione del Tribunale rivoluzionario di Sanandaj l’ha condannata a cinque anni di carcere, da scontare al confino nella piccola città di Germi, nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, per l’accusa di ‘essersi associata e aver colluso per compiere un reato contro la sicurezza nazionale’. Abdi fa parte della Campagna per l’eguaglianza, un’iniziativa per i diritti delle donne iraniane che chiede la fine della discriminazione legale contro le donne in Iran. Amnesty International la considera prigioniera d’opinione, condannata solo per aver esercitato pacificamente il suo diritto alla libertà d’espressione e di associazione.

Ulteriori informazioni

Quello diffuso oggi è l’ultimo di una serie di rapporti di Amnesty International sulla violazione dei diritti umani delle minoranze etniche e culturali dell’Iran. I precedenti rapporti avevano riguardato gli arabi e i baluci. Amnesty International da tempo sottopone le proprie preoccupazioni, comprese quelle contenute in questo rapporto, al governo iraniano ma non ha mai ricevuto una risposta adeguata. Le autorità di Teheran replicano raramente e da oltre 28 anni non permettono ad Amnesty International di visitare il paese.

FINE DEL COMUNICATO                                                    Roma, 30 luglio 2008

On line il rapporto ‘Iran: Human rights abuses against the Kurdish minority’

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