Iran, trapelano documenti ufficiali: nelle prigioni dilaga il Covid-19

31 Luglio 2020

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Documenti ufficiali trapelati e visionati da Amnesty International confermano che il governo iraniano ha ripetutamente ignorato le richieste, da parte delle direzioni delle prigioni, di maggiori risorse per contrastare la pandemia da Covid-19 e per curare i detenuti contagiati.

Si tratta di quattro lettere firmate da funzionari dell’Organizzazione delle prigioni e inviate al ministero della Salute, che non ha mai risposto, in cui si lamenta la grave carenza di dispositivi di protezione, disinfettanti e forniture mediche essenziali. Le lettere portano le date del 25 marzo, del 12 maggio, del 14 giugno e del 5 luglio.

Il precedente direttore dell’Organizzazione delle prigioni e attuale consulente del ministero della Giustizia, Asghar Jahangir, aveva in passato lodato le “esemplari” iniziative adottate per proteggere la popolazione carceraria dalla pandemia e aveva proclamato l’assenza di decessi da Covid-19, negando categoricamente le notizie riguardanti l’aumento dei contagi e delle morti, causato da sovraffollamento, condizioni insalubri e mancato accesso alle cure mediche.

Nella lettera del 25 marzo si richiedono prodotti disinfettanti e dispositivi di protezione per tre mesi, tra cui “5.400.000 mascherine, 100.000 mascherine di tipo N95, 3.600.000 guanti in lattice, 10.000.000 di guanti in plastica, 450.000 litri di disinfettante per le mani, 1.000.000 di litri di disinfettante per le superfici, 5000 scudi facciali, 5000 occhiali protettivi, 5000 camici protettivi, 300 sistemi di ventilazione dell’aria e 250 macchinari per la disinfestazione“.

La lettera sottolinea anche l’urgente bisogno di fondi per acquistare strumenti medici essenziali come misuratori della pressione e dei livelli di glucosio, termometri, saturimetri, stetoscopi e defibrillatori.

Le successive due lettere lamentano l’assenza di risposte e l’ultima, quella del 5 luglio, sollecita un urgente incontro col ministero della Salute.

Altre notizie ricevute da Amnesty International confermano i contenuti delle lettere dell’Organizzazione delle prigioni: detenuti con sintomi da coronavirus non visitati per giorni, poi posti in quarantena o in isolamento senza accesso a cure mediche adeguate.

Una prigioniera risultata positiva, Zeynab Jalalian, risulta scomparsa dal 25 giugno 2020. Era in sciopero dalla fame da sei giorni poiché le autorità avevano rifiutato di farla ricoverare fuori dalla prigione di Shahr-e Rey, nella capitale Teheran.

A un’altra detenuta, la difensora dei diritti umani Narges Mohammadi, così come ad altri prigionieri, non è stato reso noto l’esito del tampone.

Gruppi locali per i diritti umani hanno denunciato oltre 20 decessi per sospetto coronavirus nelle prigioni iraniane.

Secondo fonti giornalistiche, a marzo le autorità hanno respinto la richiesta dell’Organizzazione mondiale della sanità di poter visitare la prigione di Evin, sempre a Teheran.

Tra la fine di febbraio e la fine di maggio, secondo fonti ufficiali, 128.000 prigionieri sono stati temporaneamente rilasciati e 10.000 graziati. Il 15 luglio è stata annunciata una nuova serie di rilasci.

Da queste misure sono stati esclusi centinaia di prigionieri di coscienza: difensori dei diritti umani, cittadini stranieri o con doppio passaporto, ambientalisti, fedeli di religioni vietate e manifestanti arrestati arbitrariamente durante le proteste del novembre 2019.

La popolazione carceraria è, secondo dati ufficiali, di 211.000 persone, ben oltre la capienza massima dichiarata di 85.000.

Dal mese di marzo, le agghiaccianti condizioni di prigionia e il timore della diffusione della pandemia hanno spinto molti detenuti a intraprendere proteste, scioperi della fame e tentativi di evasione. Le proteste sono state sedate ricorrendo a una forza eccessiva e non necessaria, che ha causato morti e feriti.