Andrea DiCenzo/Amnesty International
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Amnesty International ha denunciato che centinaia di civili sono stati uccisi da attacchi aerei all’interno delle loro case di Mosul, dopo che il governo iracheno aveva detto di non lasciare la città durante l’offensiva per strapparla al gruppo armato auto-denominato Stato islamico.
Persone sopravvissute agli attacchi e testimoni oculari hanno raccontato di non aver cercato di lasciare la città, mentre la battaglia era in corso, proprio perché avevano ricevuto ripetute indicazioni da parte delle autorità irachene di rimanere nelle loro abitazioni.
Attacchi da parte della coalizione a guida Usa
Lo scioccante aumento delle vittime civili negli ultimi mesi, a causa sia degli attacchi aerei della coalizione guidata dagli Usa che dei combattimenti a terra tra l’esercito iracheno e lo Stato islamico, solleva forti dubbi sulla legalità di tali attacchi. In uno dei più sanguinosi attacchi degli ultimi anni, il 17 marzo, un attacco aereo della coalizione sul quartiere di Jadida ha provocato oltre 150 morti. La coalizione ha annunciato l’avvio di un’indagine.
“Le prove che abbiamo raccolto a Mosul Est evidenziano una ripetizione di attacchi aerei da parte della coalizione a guida Usa che hanno raso al suolo abitazioni con intere famiglie all’interno. L’elevato numero di vittime civili lascia supporre che le forze della coalizione non abbiano preso precauzioni adeguate per evitarle, in evidente violazione del diritto internazionale umanitario“, ha dichiarato Donatella Rovera, Alta consulente per le risposte alle crisi di Amnesty International, che ha svolto ricerche sul campo a Mosul.
“Dato che le autorità irachene avevano ripetutamente invitato la popolazione civile a rimanere in casa anziché a fuggire, le forze della coalizione avrebbero dovuto sapere che i loro attacchi avrebbero probabilmente causato un alto numero di vittime. Gli attacchi sproporzionati e gli attacchi indiscriminati violano il diritto internazionale umanitario e costituiscono crimini di guerra. Il governo iracheno e la coalizione a guida Usa devono immediatamente avviare un’indagine indipendente e imparziale sul devastante numero di vittime causato dall’operazione Mosul“, ha sottolineato Rovera.
Lasciare Mosul prima dei combattimenti era già stato estremamente difficile per la popolazione civile, a causa delle punizioni che lo Stato islamico infliggeva a chi provava a farlo. Wa’ad Ahmad al-Tai, un abitante del quartiere di al-Zahra a Mosul Est, è tra i tanti civili che hanno seguito l’indicazione del governo iracheno di rimanere:
“Abbiamo seguito le istruzioni del governo: ‘restate in casa ed evitate lo sfollamento’. Secondo queste istruzioni, chi non aveva niente a che fare con Daesh [il nome arabo dello Stato islamico] doveva rimanere a casa. Lo hanno detto alla radio e poi hanno anche lanciato dei volantini“.
A causa dell’intensificarsi dei bombardamenti, Wa’ad Ahmad al-Tai, suo fratello Mahmoud e le loro famiglie si sono trasferiti nell’abitazione a due piani di un terzo fratello pensando che sarebbe stata più sicura.
“Eravamo tutti quanti in una stanza sul retro, tre famiglie per un totale di 18 persone. La casa accanto è stata bombardata ed è crollata sulla nostra, esattamente nella stanza dove ci eravamo riparati. Sono morti mio figlio Yusef di nove anni, mia figlia Shahad di tre, mio fratello Mahmoud, sua moglie Manaya, il loro figlio Aws di nove anni e mia nipote Hanan che ha protetto col corpo la sua figlia di cinque mesi che, grazie a Dio, è sopravvissuta“.
Hind Amir Ahmad, una donna di 23 anni, ha perso 11 parenti in un attacco aereo della coalizione risalente al 13 dicembre:
“La casa ci è crollata letteralmente addosso mentre stavamo dormendo e per miracolo nessuno di noi è rimasto ucciso. Allora siamo corsi a casa di mio zio. Alle 2 di notte hanno bombardato anche quella e quasi tutti quelli che c’erano dentro, 11 persone, sono stati uccisi. Ci sono voluti sei giorni per rimettere insieme i corpi. Non so perché ci hanno bombardato. So solo che hanno ucciso praticamente tutte le persone che amavo“.
Il 6 gennaio 16 persone sono rimaste uccise in un attacco aereo nel quartiere di Hay al-Mazaraa a Mosul Est. Testimoni oculari e abitanti del quartiere hanno confermato che né nelle tre case colpite né nelle adiacenze c’erano combattenti dello Stato islamico. Tra le vittime, tre bambini e la madre di Shaima’ Qadhem, che un anno prima era stata arrestata e uccisa dallo Stato islamico:
“Quella famiglia è stata presa di mira da tutti. L’anno scorso Daesh ha arrestato e ucciso la madre dei tre bambini che ora sono stati uccisi dalla coalizione [insieme alla nonna]. Siamo tutti intrappolati in questo conflitto e nessuno ci aiuta. Quando ho cercato di lasciare Mosul con la mia famiglia, siano stati fermati da Daesh. Hanno minacciato di versarci sopra della benzina e darci fuoco. Poi abbiamo pagato una multa salatissima e siamo riusciti ad andare via. Altri, meno fortunati, sono stati messi a morte. Mi chiedo: il governo e la coalizione hanno pensato a come proteggere i civili in questa guerra? Direi decisamente di no“, ha dichiarato Ahmad, un parente delle vittime.
Il diritto internazionale umanitario prevede che le parti combattenti devono prendere tutte le misure possibili per ridurre al minimo i danni ai civili e che gli attacchi non devono danneggiare in modo sproporzionato i civili: in altri termini, il danno non dev’essere eccessivo rispetto al vantaggio militare concreto e diretto che si è valutato di conseguire.
L’uso di scudi umani da parte dello Stato islamico
In molti dei casi indagati da Amnesty International in cui civili sono stati uccisi dagli attacchi della coalizione a guida Usa, gli abitanti sopravvissuti e i testimoni oculari hanno riferito che combattenti dello Stato islamico erano presenti all’interno (di solito, sul tetto o nel giardino) o nei pressi delle abitazioni colpite, così come di abitazioni risparmiate. Tutti gli attacchi hanno distrutto abitazioni intere, spesso distruggendo o danneggiando gravemente case o negozi circostanti.
“Il vergognoso uso di scudi umani da parte dello Stato islamico è una grave violazione del diritto internazionale umanitario che equivale a un crimine di guerra. In zone residenziali fittamente abitate i rischi per la popolazione civile diventano enormi. Tuttavia, l’uso degli scudi umani da parte dello Stato islamico non fa venir meno l’obbligo del governo iracheno e delle forze della coalizione di evitare attacchi sproporzionati“, ha precisato Rovera.
Mohammed, un abitante del quartiere di Hay el-Dhubbat a Mosul Est, ha perso numerosi parenti in un attacco aereo:
“I Dawa’ish [i combattenti dello Stato islamico] erano ovunque e non potevamo farci veramente niente. Se protestavi, minacciavano di ucciderti. Hanno comandato in questa città per due anni e mezzo e non li hanno quasi mai colpiti. Perché adesso quelli distruggono le nostre case con le famiglie all’interno, e tutto questo solo per fare fuori due o tre Dawa’ish che stanno sul tetto?”.
Il 5 gennaio, tre case del quartiere di Hay al-Salam a Mosul Est sono state distrutte dagli attacchi della coalizione: cinque membri di una famiglia e un vicino di casa sono morti e altre persone sono rimaste ferite. In una stanza di una casa si erano rintanati alcuni combattenti dello Stato islamico, rimasti illesi e poi catturati dalle forze irachene.
Na’el Tawfiq Abdelhafez, che nell’attacco ha perso il figlio Mos’ab di 23 anni, ha raccontato ad Amnesty International che per mesi il quartiere era stato al centro dei combattimenti tra cecchini dello Stato islamico sui tetti e i soldati iracheni che sparavano colpi di mortaio verso le case:
“Che potevamo fare noi civili? Fermare Daesh? Quando mi sono entrati in casa, poco prima dell’attacco, li ho pregati di uscire, gli ho detto che c’era una famiglia. Hanno accettato, stavano per uscire quando è arrivato l’attacco. Mio figlio è stato ucciso, il resto della famiglia ferito, mia figlia Bara’ ha perso un occhio e i Dawa’ish sono ancora vivi“.
Nello stesso attacco, nella casa accanto Muthar Dhannun ha perso una sorella, il marito e tre figli:
“Tutti sanno che Daesh usa i civili come scudi umani. Allora, perché uccidere civili che non hanno fatto nulla di male? Dobbiamo pagare noi il prezzo dei crimini di Daesh. Non è giusto“.
Combattimenti a terra
Secondo le testimonianze raccolte da Amnesty International, civili sono morti o sono rimasti feriti anche a seguito del lancio indiscriminato di colpi di mortaio da parte sia dello Stato islamico che dell’esercito iracheno all’interno dei quartieri residenziali.
Alcuni residenti hanno riferito che le forze irachene usano prevalentemente mortai da 60 e 82 millimetri e meno spesso mortai da 120 millimetri, invece per lo più usati dallo Stato islamico.
Si tratta di armi che possono risultare imprecise anche quando sono dirette a un obiettivo militare. Sono state pensate per battaglie in spazi aperti e non dovrebbero mai essere usate nei centri urbani, dove il margine d’errore e il raggio d’esplosione sono destinati a causare molte perdite civili nelle aree che si trovano nei pressi dell’obiettivo che s’intende colpire.
Il 4 dicembre 2016 Ahmad Samir Jumaa e Yousef Ammar Ahmad, di cinque e sette anni, sono stati fatti letteralmente a pezzi da un colpo di mortaio mentre giocavano nei pressi delle loro abitazioni, nel quartiere di Hay al-Zahra a Mosul Est. Il colpo di mortaio è esploso in una strada di neanche 10 metri di larghezza, diffondendo schegge mortali sulle case che vi si affacciavano.
Il 7 novembre 2016 quattro bambini e i loro genitori sono morti in una stanza nel retro della loro abitazione nel quartiere di Hay al-Salam a Mosul Est. Il colpo di mortaio ha centrato esattamente una cisterna di benzina e l’abitazione e le persone sono state immediatamente avvolte dalle fiamme. Si sono salvati, ma con ferite orribili, solo due bambini.
In questi casi, come in un terzo accaduto nel quartiere di Hay al-Shuhada a Mosul Ovest, lo Stato islamico controllava le zone contro cui sono stati diretti i colpi di mortaio, presumibilmente dunque ad opera dell’esercito iracheno. È anche possibile, per quanto improbabile, che si sia trattato di colpi di mortaio lanciati dallo Stato islamico contro i militari iracheni in altre zone della città.
Nelle aree riconquistate dall’esercito iracheno, i soldati hanno collocato postazioni militari all’interno dei quartieri, mettendo in pericolo la popolazione civile. Nel quartiere di Hay al-Josaq a Mosul Ovest un colpo di mortaio ha ucciso una bambina di un anno e mezzo che stava giocando nel cortile di un’abitazione di fronte alla quale era stato aperto un ufficio della Polizia federale.
Altre famiglie hanno denunciato la morte o il ferimento di parenti o vicini di casa a seguito di autobombe o di colpi di mortaio contro l’esercito iracheno, via via che riconquistava i quartieri. Ramy ha perso un figlio di 10 anni a causa di un colpo di mortaio. Inizialmente era sollevato dalla presenza dei soldati iracheni nella sua strada:
“L’esercito iracheno ha collocato le sue posizioni tutte intorno alle abitazioni e di lì a poco sono iniziati i colpi di mortaio di Daesh. Mio figlio è stato colpito mentre andava dalla cucina al garage“.
Rawda, un’anziana donna di Mosul Est, ha mostrato ad Amnesty International l’appartamento di sua figlia, il cui tetto è stato utilizzato prima dai cecchini dello Stato islamico e poi dai soldati iracheni:
“Ora è tutto in rovina. Mia figlia non ha una casa dove poter ritornare“.
“Invece di evacuare i civili dalle zone appena riconquistate e, in questo modo, minimizzare il rischio per i civili di finire sotto attacco, le forze irachene paiono metterli ancora di più in pericolo incoraggiandoli a rimanere a casa e collocando nei pressi delle case le loro postazioni militari“, ha lamentato Rovera.
“Tutte le parti coinvolte nel conflitto devono astenersi dall’uso di mortai e di altre armi esplosive imprecise nei quartieri densamente popolati di Mosul. La popolazione civile sta pagando il prezzo della battaglia per riconquistare Mosul a causa dell’agghiacciante indifferenza mostrata da tutte le parti coinvolte per la devastante sofferenza imposta agli abitanti della città“, ha concluso Rovera.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 28 marzo 2017
Per ulteriori informazioni:
capitolo relativo all’Iraq tratto dal Rapporto 2016-2017 di Amnesty International
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