Israele – Territori Palestinesi Occupati: la Corte penale internazionale indaghi sui crimini di guerra

3 Agosto 2014

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Il 1° agosto, in una lettera aperta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Amnesty International ha chiesto ai suoi stati membri di agire immediatamente per deferire la situazione in Israele e nei Territori Occupati Palestinesi (Tpo) alla procuratrice della Corte penale internazionale (Cpi) affinché i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel conflitto in corso siano portati davanti alla giustizia; ha inoltre sollecitato altre azioni quali l’imposizione di un embargo totale sulle armi verso tutte le parti in conflitto.

Amnesty International ha inoltre chiesto alle autorità palestinesi e israeliane di esprimersi a favore di un deferimento del Consiglio di sicurezza e altre misure che potrebbero permettere alla Cpi di intervenire e di collaborare con essa. In particolare, le autorità palestinesi dovrebbero sottoporre una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Cpi sui crimini di diritto internazionale commessi dal 1° luglio 2002, quando la Cpi fu istituita.

Un’indagine della Cpi è essenziale per spezzare la cultura dell’impunità che favorisce i crimini di guerra e contro l’umanità in Israele e nei Tpo. Quest’indagine si fa ancora più necessaria alla luce delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse da tutte le parti coinvolte nell’attuale conflitto a Gaza e in Israele.

Amnesty International documenta da molti anni crimini di guerra e contro l’umanità da parte delle forze israeliane, di Hamas e dei gruppi armati palestinesi. L’immenso numero di vittime civili, così come la distruzione e lo sfollamento nella Striscia di Gaza a causa degli intensi bombardamenti iniziati da Israele l’8 luglio 2014 e il continuo lancio indiscriminato di razzi da parte dei gruppi armati palestinesi contro i civili israeliani rendono ancora più urgente la fine dell’impunità.

Né Israele né le autorità palestinesi hanno assunto iniziative degne di nota per porre fine alle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario che costituiscono la norma durante i ciclici conflitti, né hanno portato i responsabili di fronte alla giustizia. Porre fine alla sistematica impunità per i crimini commessi nel passato potrebbe essere un deterrente contro la loro reiterazione e dunque un elemento fondamentale per assicurare, nel lungo periodo, la protezione delle popolazioni civili su ambo i lati del conflitto.

Questo documento elenca le misure che potrebbero e dovrebbero essere prese per istituire la giurisdizione della Cpi e descrive le violazioni commesse durante l’attuale conflitto, evidenziando alcuni crimini che Amnesty International ritiene potrebbero essere indagati dalla Cpi.

 

L’iniziativa del Consiglio Onu dei diritti umani

Amnesty International ha apprezzato la decisione del Consiglio Onu dei diritti umani d’istituire una commissione d’inchiesta sulle violazioni commesse ‘nel contesto delle operazioni militari a partire dal 13 giugno 2014’ e ha notato che il testo della risoluzione autorizza la commissione a esaminare le violazioni commesse da ogni parte. Il rapporto della commissione, previsto nel marzo 2015, dovrebbe includere raccomandazioni concrete per assicurare giustizia per le vittime del conflitto e la fine del ciclo dell’impunità.

La Cpi dovrebbe contrastare l’impunità per fermare l’ondata di gravi violazioni

La Cpi è stata istituita, tra le varie ragioni, per assicurare che coloro che hanno commesso crimini di guerra e contro l’umanità andranno incontro alla giustizia, a prescindere dal loro rango o status. La continua assenza di provvedimenti da parte di Israele, delle autorità palestinesi e della comunità internazionale per assicurare la fine delle uccisioni e dei ferimenti illegali di civili e la distruzione di proprietà civili, così come di altri crimini, è inconcepibile.

La Cpi deve essere messa in grado di esercitare la sua giurisdizione sulla situazione in Israele e in Palestina. La procuratrice della Cpi deve decidere rapidamente se avviare un’indagine con l’obiettivo di portare di fronte alla giustizia i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità. In questo modo, potrebbe inviare un messaggio forte e chiaro a tutte le parti: crimini del genere non potranno più essere commessi impunemente.

La Cpi potrebbe esercitare giurisdizione sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi da ogni parte in Israele e nei Tpo se la procuratrice della Cpi, l’Autorità palestinese, Israele o il Consiglio di sicurezza prendessero le necessarie iniziative. Data la drammatica situazione attuale, AI chiede a ciascuno di questi quattro attori di attuare le misure descritte di seguito, integralmente e simultaneamente, per istituire la giurisdizione della Cpi al più presto possibile. Una volta istituita la giurisdizione della Cpi, la procuratrice dovrebbe determinare rapidamente se aprire un’indagine.

 

La procuratrice della Cpi dovrebbe chiedere un parere giudiziario sulla validità della dichiarazione del 2009 dell’Autorità palestinese

Alla fine del gennaio 2009, dopo l’operazione israeliana ‘Piombo fuso’ contro la Striscia di Gaza, l’Autorità palestinese emise una dichiarazione ai sensi dell’art. 12.3 dello Statuto di Roma della Cpi, accettando la giurisdizione della corte sui crimini commessi ‘sul territorio della Palestina a partire dal 1° luglio 2002’.
Se venisse accettata dalla Camera pre-processuale della Cpi, questa dichiarazione darebbe alla Cpi la giurisdizione sui crimini commessi da ambo le parti durante l’operazione ‘Piombo fuso’ e in altre circostanze a partire dal 1° luglio 2002.

Dopo quella dichiarazione, il procuratore della Cpi avviò un esame preliminare, riguardante in particolare se la Palestina fosse uno stato ai sensi dello Statuto di Roma (uno dei quattro criteri che il procuratore/la procuratrice deve prendere in considerazione per decidere se aprire o meno un’indagine).

Meno di tre anni dopo, nell’aprile 2012, l’ufficio del procuratore decise – sulla base di motivazioni controverse – che la dichiarazione del 2009 non era valida e chiuse l’esame preliminare. La decisione si basò sul fatto che lo statuto riconosciuto alla Palestina dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite all’epoca della dichiarazione era quello di ‘osservatore’ e non di ‘stato non membro’. Poiché l’essere stato membro o meno delle Nazioni Unite non determina la qualità di stato, Amnesty International criticò la decisione del procuratore di non riportare la questione ai giudici della Cpi, come previsto dall’art. 19.3 dello Statuto di Roma, per una decisione approfondita e trasparente. Si ricorda qui che il 29 novembre 2012 l’Assemblea generale delle Nazoni Unite riconobbe la Palestina come stato osservatore non membro.

Alla fine del luglio 2014 un avvocato che rappresenta il ministro della Giustizia palestinese Saleem al-Suqqa avrebbe presentato una denuncia alla procuratrice della Cpi sui crimini commessi prima e durante l’operazione ‘Margine protettivo’, lanciata da Israele l’8 luglio.

Amnesty International chiede all’ufficio della procuratrice di rivedere immediatamente la decisione sulla non validità della dichiarazione del 2009 e di riferire la questione alla Camera pre-processuale per una decisione urgente.

 

L’Autorità palestinese dovrebbe emanare un’ulteriore dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Cpi sui crimini commessi a partire dal 1° luglio 2002 e accedere allo Statuto di Roma

Considerando le differenti interpretazioni sul valore legale della dichiarazione del 2009, l’Autorità palestinese dovrebbe presentarne un’altra all’Ufficio del registro della Cpi. In questa nuova dichiarazione, l’Autorità palestinese dovrebbe accettare la giurisdizione della Cpi sui crimini commessi a partire dal 1° luglio 2002. Dovrebbe contemporaneamente sottoporre al Segretario generale delle Nazioni Unite la documentazione per accedere allo Statuto di Roma.

Negli ultimi giorni, alti funzionari palestinesi hanno fatto capire che l’Autorità palestinese ha deciso di accedere allo Statuto di Roma ma che nessuno strumento di accessione è stato ancora depositato.

Mentre un milione e 800.000 palestinesi della Striscia di Gaza stanno subendo le conseguenze della terza massiccia operazione militare israeliana in sei anni e le massicce distruzioni che ha comportato, di fronte a una lista di possibili crimini di guerra in crescita ogni giorno che richiederebbero un’indagine, l’Autorità palestinese deve depositare l’ulteriore dichiarazione e accedere allo Statuto di Roma senza ritardo.

Sebbene Amnesty International ritenga che la procuratrice dovrebbe comunque trasmettere la dichiarazione del 2009 alla Camera pre-processuale per una valutazione nel merito, una seconda dichiarazione palestinese porrebbe la questione di nuovo di fronte alla procuratrice. In questo modo, la stessa procuratrice potrebbe valutare gli sviluppi successivi al 2009 che potrebbero confermare la capacità della Palestina di depositare una dichiarazione valida e accedere allo Statuto di Roma.

In particolare, il 29 novembre 2012 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che conferma lo status della Palestina come ‘stato osservatore non membro’. Inoltre, il 2 aprile 2014, la Palestina ha depositato gli strumenti di accessione alle Convenzioni di Ginevra e a 15 trattati, tra cui importanti trattati sui diritti umani. La richiesta è stata accolta dai soggetti competenti. A oggi solo tre dei 193 stati membri delle Nazioni Unite (Canada, Israele e Usa) hanno posto obiezioni a queste accessioni.

 

Israele dovrebbe accedere allo Statuto di Roma e dichiarare di accettare la giurisdizione della Cpi a partire dal 1° luglio 2002

Storicamente, Israele ha sostenuto le iniziative per sviluppare meccanismi di giustizia internazionale, tra cui la giurisdizione universale e gli iniziali tentativi per istituire una corte internazionale, in parte sulla base della considerazione che i tribunali ad hoc – come quelli di Norimberga e Tokyo istituiti dopo la Seconda guerra mondiale – non avrebbero un effettivo potere deterrente rispetto ai futuri genocidi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Israele ha sottoscritto lo Statuto di Roma il 31 dicembre 2000 ma, nell’agosto 2002, ha ritirato la firma affermando che non intendeva diventare stato parte del trattato.

Amnesty International sollecita Israele a riconsiderare la sua posizione contraria alla Cpi e a impegnarsi verso lo stato di diritto accedendo allo Statuto di Roma. La Cpi costituisce una possibilità di giustizia per le vittime israeliane dei crimini di guerra commessi dai gruppi armati palestinesi.

Inoltre, Amnesty International sollecita Israele a fare una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Cpi a partire dal 1° luglio 2002, ai sensi dell’art. 12.3 dello Statuto di Roma, per poter conferire alla Cpi giurisdizione sui passati crimini di guerra e contro l’umanità.

L’opposizione di Israele alla Cpi e ai meccanismi di giustizia internazionale protegge i responsabili di crimini di diritto internazionale e non va incontro agli interessi delle vittime, che hanno diritto a un rimedio effettivo, e a quelli dei cittadini israeliani, che continuano a vivere sotto la minaccia dei razzi indiscriminati.

 

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe deferire la situazione alla procuratrice della Cpi

A sua volta, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe favorire la giurisdizione della Cpi deferendo la situazione alla procuratrice. Nel settembre 2009, il rapporto della commissione d’accertamento dei fatti relativa al conflitto di Gaza del 2008-9 promossa dalle Nazioni Unite e diretta dal giudice Richard Goldstone, raccomandò al Consiglio di sicurezza di deferire la situazione al procuratore della Cpi se, entro sei mesi, le autorità nazionali non avessero avviato un’indagine indipendente e in buona fede sui crimini di guerra e contro l’umanità documentati dalla commissione. Quasi cinque anni dopo, nonostante le schiaccianti prove che indagini in linea con gli standard internazionale non siano state svolte, il Consiglio di sicurezza non ha ancora agito. Gli stati membri, e in particolare quelli permanenti, dovrebbero mettere da parte i loro interessi geopolitici e agire in favore degli interessi delle vittime israeliane e palestinesi di crimini di diritto internazionale.

L’Autorità palestinese è stata costantemente pressata, da parte degli Usa e di Israele che non sono stati parte dello Statuto di Roma, a non prendere alcuna iniziativa che potesse conferire giurisdizione alla Cpi. Inoltre, alcuni stati parte dello Statuto di Roma e che a parole affermano di sostenere la Cpi – tra cui Canada, Regno Unito e altri stati dell’Unione europea – si oppongono all’accessione della Palestina alla Cpi o ad altre misure che le darebbero giurisdizione sui crimini di diritto internazionale.

L’opposizione da parte del Regno Unito e di altri stati dell’Unione europea alle iniziative per accertare le responsabilità dei crimini di guerra commessi in Israele e nei Tpo contraddice la loro politica ufficiale di sostegno alla Cpi come strumento chiave per porre fine all’impunità. Alcuni di questi stati hanno in passato minacciato di condizionare l’appoggio diplomatico e finanziario all’Autorità palestinese alla rinuncia, di quest’ultima, ad accedere agli strumenti giuridici internazionali o almeno al rinvio di misure che potrebbero dare giurisdizione alla Cpi, sostenendo che passi del genere avrebbero potuto pregiudicare i negoziati israelo-palestinesi sponsorizzati dagli Usa. L’Autorità palestinese dipende notevolmente dall’assistenza internazionale degli stati donatori, ivi compresa la fornitura di servizi essenziali nel campo sanitario e dell’istruzione e di infrastrutture.

Amnesty International si oppone a ogni tentativo d’impedire all’Autorità palestinese di presentare una dichiarazione per accedere allo Statuto di Roma. Questi tentativi rafforzano l’impunità per i crimini di diritto internazionale commessi in Israele e nei Tpo e impediscono alle vittime israeliane e palestinesi di chiedere giustizia attraverso la Cpi.

Piuttosto, tutti gli stati – compresi gli Usa, il Canada e gli stati dell’Unione europea – dovrebbero chiedere pubblicamente a Israele e all’Autorità palestinese di accedere alla Cpi. Come minimo, tutti gli stati che forniscono assistenza all’Autorità palestinese dovrebbero affermare pubblicamente che la loro assistenza e il loro sostegno diplomatico non sarebbero compromessi a seguito dell’accesso alla Cpi.

Nel marzo 2011, sia gli Usa e che il Regno Unito hanno votato contro una risoluzione del Consiglio Onu dei diritti umani che chiedeva all’Assemblea generale di sottoporre al Consiglio di sicurezza il rapporto della commissione d’accertamento dei fatti del 2009, in modo che quest’ultimo potesse valutare se deferire la situazione alla Cpi. Il Consiglio Onu dei diritti umani aveva adottato la risoluzione dopo che il rapporto della commissione aveva stabilito che sia le forze israeliane che Hamas avevano commesso crimini di guerra durante il conflitto del 2008-9 e dopo che due rapporti di un comitato di esperti indipendenti avevano concluso che sia le autorità israeliane che l’amministrazione di fatto di Hamas nella Striscia di Gaza non avevano condotto indagini credibili ed efficaci. Amnesty International e molte altre organizzazioni per i diritti umani sono giunte alla stessa conclusione. Il rapporto presentato nel febbraio 2013 dalla commissione Turkel, nominata dal governo israeliano, ha riscontrato gravi lacune nel sistema israeliano d’indagine sulle violazioni commesse dalle forze armate. La commissione Turkel ha presentato 18 raccomandazioni per rimediare a queste lacune ma, sulla base delle informazioni di Amnesty International, quasi nessuna di esse è stata attuata.

A questo punto, oltre tre anni dopo la risoluzione del Consiglio Onu dei diritti umani, di fronte all’assenza di alcuna azione significativa dell’Assemblea generale sul rapporto della commissione del 2009 e al nuovo mortale conflitto che coinvolge i civili di Gaza e d’Israele, Amnesty International sollecita il Consiglio di sicurezza ad agire e a fornire giurisdizione alla Cpi.

Questa volta, il Consiglio di sicurezza deve agire con determinazione deferendo alla procuratrice della Cpi la situazione in Israele e nei Tpo a partire dal 1° luglio 2002 e chiedendo che tutti gli stati forniscano piena cooperazione alla Cpi.

Amnesty International chiede a tutti gli stati membri del Consiglio di sicurezza che detengono il potere di veto – tra cui gli Usa e il Regno Unito – di non bloccare questo deferimento.

L’organizzazione per i diritti umani ricorda che gli Usa e il Regno Unito hanno duramente criticato la decisione di Russia e Cina di porre in veto a una risoluzione del maggio 2014 sul deferimento alla procuratrice della Cpi della situazione in Siria e chiede che non usino due pesi e due misure, bloccando – questa volta loro – il deferimento di una situazione molto grave per proteggere i loro interessi geopolitici.

Amnesty International ricorda che l’esperienza ha dimostrato che porre fine all’impunità e assicurare il rispetto per i diritti umani e per il diritto internazionale umanitario è assolutamente essenziale per ottenere una pace giusta e durevole in Israele e nei Tpo.

 

Violazioni del diritto internazionale umanitario durante l’attuale conflitto Israele/Gaza

Da quando, l’8 luglio 2014, Israele ha lanciato l’operazione ‘Margine protettivo’, nella Striscia di Gaza sono morti oltre 1800 palestinesi (circa tre quarti dei quali – secondo dati delle Nazioni Unite – civili) e oltre 9400 sono rimasti feriti, molti dei quali in modo grave. Le forze israeliane hanno condotto attacchi indiscriminati in aree densamente popolate e attacchi diretti contro abitazioni e altri obiettivi civili, violando il diritto internazionale e, come prevedibile, uccidendo e ferendo molti civili. Alcuni di questi attacchi costituiscono probabilmente crimini di guerra. Le forniture umanitarie e sanitarie sono state fortemente compromesse e, in alcuni casi, attaccate e infrastrutture fondamentali per i servizi idrici, igienici ed elettrici sono state gravemente danneggiate.

In tutta la Striscia di Gaza, migliaia di abitazioni, almeno 23 strutture mediche, uffici governativi e di organi d’informazione nonché infrastrutture idriche e igieniche sono state distrutte o seriamente danneggiate. Gli abitanti della Striscia di Gaza – 1.800.000 persone – ricevono forniture minime di acqua insalubre; in alcune zone, l’acqua è venuta a mancare del tutto per giorni a causa dei continui attacchi. Il 29 luglio, le forze israeliane hanno colpito l’unica centrale elettrica di Gaza, mettendola fuori uso e distruggendo la fonte primaria di elettricità, in un attacco che molto probabilmente costituisce un crimine di guerra e una punizione collettiva nei confronti dell’intera popolazione di Gaza.

Gli ospedali, già sovraffollati, attaccati e privi di medicinali e attrezzature fondamentali, stanno subendo anche la mancanza di energia elettrica e carburante per i generatori mentre continuano a ricevere decine e decine di feriti.

Le forze israeliane hanno dato istruzioni a centinaia di migliaia di abitanti di intere aree della Striscia di Gaza di muoversi verso i rifugi o altre zone, provocando uno sfollamento di massa dei civili palestinesi. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), al 31 luglio 2014 i profughi interni erano circa 485.000, rifugiati nelle scuole dell’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e del ministero dell’Istruzione o in altre strutture pubbliche. Almeno altre 200.000 persone si sono rifugiate presso parenti e abitazioni private.

Almeno sei scuole dell’Unrwa sono state colpite da attacchi diretti, che in alcuni casi hanno causato la morte e il ferimento di persone che si erano rifugiate al loro interno. Circa 137 scuole della Striscia di Gaza sono state danneggiate. A Gaza non esistono rifugi antiaerei e i ripetuti attacchi contro le scuole dell’Unrwa che fungevano da rifugi hanno dimostrato che a Gaza non c’è alcun posto sicuro per i civili.

Le dichiarazioni dell’esercito e di esponenti politici israeliani, secondo le quali le abitazioni di persone associate ad Hamas e quelle dei suoi leader politici sono obiettivi legittimi, indicano che Israele ha adottato regole d’ingaggio non conformi al diritto internazionale umanitario e potrebbero costituire la prova che almeno alcuni degli attacchi contro le abitazioni civili facciano parte di una politica deliberata. Sebbene le autorità israeliane abbiano dichiarato di aver avvertito i civili, è emerso uno schema secondo il quale le loro azioni non hanno costituito un ‘avviso effettivo’ sulla base del diritto internazionale umanitario. Destano ulteriore preoccupazione i rapporti sempre più numerosi su medici che cercavano di evacuare morti e feriti, operai impegnati a riparare le infrastrutture idriche e igieniche danneggiate e giornalisti finiti sotto il fuoco israeliano e in alcuni casi feriti o uccisi. Gli attacchi diretti contro la popolazione civile e gli obiettivi civili, così come gli attacchi indiscriminati o sproporzionati che sono intenzionali e che uccidono o feriscono civili, costituiscono crimini di guerra.

Durante le prime tre settimane di conflitto, l’ala militare di Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno lanciato oltre 2900 razzi e mortai indiscriminati in territorio israeliano. I razzi e i mortai non possono essere diretti in modo preciso contro obiettivi militari, il ché significa che lanciarli è di per sé un crimine di guerra.

Secondo dichiarazioni rilasciate da Hamas e dai gruppi armati palestinesi, alcuni degli attacchi avevano l’intenzione di uccidere e ferire civili. Secondo fonti mediche israeliane, tre civili israeliani sono stati uccisi e almeno altri 29 – bambini inclusi – sono rimasti feriti a causa di schegge dei razzi o di vetri andati in frantumi. Le strutture sanitarie israeliane hanno anche fornito cure a centinaia di persone ricoverate per lievi ferite e soprattutto per attacchi di panico.

In Israele sono state anche danneggiate abitazioni e altre proprietà civili. In ampie parti del paese la popolazione è stata costretta a correre nei rifugi più volte al giorno e molti abitanti delle città e dei villaggi del sud hanno lasciato le loro case. In altre comunità israeliane, come i villaggi beduini ‘non riconosciuti’, la popolazione è priva di rifugi e del tutto priva di protezione rispetto agli attacchi indiscriminati.

I gruppi armati palestinesi della Striscia di Gaza stanno violando il diritto internazionale umanitario anche lanciando razzi da zone abitate, in alcuni casi da siti molti civili a edifici civili e ammassano munizioni in zone abitate, in alcuni casi all’interno di edifici civili. Ciò mette in pericolo la popolazione civile di Gaza e viola l’obbligo di prendere tutte le opportune precauzioni per proteggere i civili dalle conseguenze degli attacchi nelle aree sotto il loro controllo.

Alle vittime israeliane si devono aggiungere 64 militari uccisi dal 17 luglio 2014, giorno dell’inizio delle operazioni di terra nella Striscia di Gaza.

 

L’impunità per pregressi crimini di guerra e contro l’umanità e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario

Prima dell’attuale conflitto, Amnesty International ha documentato per molti anni crimini di guerra, crimini contro l’umanità e altre persistenti e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di Israele, di Hamas e dei gruppi armati palestinesi.

Durante l’operazione ‘Pilastro di difesa’, lanciata da Israele contro la Striscia di Gaza nel novembre 2012 e durata otto giorni, furono uccisi oltre 165 palestinesi tra cui oltre 30 bambini e altri 70 civili. Amnesty International registrò almeno 18 attacchi coi missili in cui vennero uccisi civili che non stavano direttamente prendendo parte alle ostilità e ulteriori attacchi indiscriminati e sproporzionati, come quelli contro sedi di organi d’informazione. Quattro civili israeliani furono uccisi dai razzi indiscriminati lanciati da Gaza.

Per quanto sia a conoscenza di Amnesty International, l’avvocatura generale militar israeliana non aprì alcuna indagine sulle violazioni commesse durante l’offensiva e altrettanto fece l’amministrazione di fatto di Hamas rispetto al lancio indiscriminato di razzi e all’uccisione sommaria di sette palestinesi arrestati per presunto ‘collaborazionismo’ con Israele.

L’operazione ‘Piombo fuso’, terminata il 19 gennaio 2009 dopo 22 giorni di offensiva militare contro la Striscia di Gaza, provocò la morte di circa 1400 palestinesi, in maggior parte civili. Durante il conflitto vennero uccisi anche 13 israeliani, inclusi tre civili.

Entrambe le parti commisero gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, compresi crimini di guerra. Le forze israeliane uccisero civili palestinesi usando armi di precisione o lanciando attacchi indiscriminati che non fecero distinzione tra legittimi obiettivi militari e civili, e colpirono proprietà e infrastrutture civili, centri delle Nazioni Unite, personale e strutture mediche.

Le forze israeliane, inoltre, usarono tipi di armamento con modalità che costituiscono attacchi indiscriminati, come l’uso del fosforo bianco in aree densamente popolate. L’ala militare di Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi lanciarono razzi e mortai indiscriminati contro il sud d’Israele. Sia Israele che l’amministrazione di fatto di Hamas a Gaza non condussero indagini credibili e indipendenti in linea con gli standard internazionali. L’amministrazione di fatto di Hamas mancò del tutto di punire i responsabili di crimini di diritto internazionale, mentre l’avvocatura generale militare israeliana si limitò a incriminare quattro soldati in relazione a tre distinti casi.
Il periodo tra l’inizio della seconda intifada (settembre 2000) e la guerra del 2008-9, soprattutto i primi cinque anni, fu caratterizzato da violazioni di massa dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, compresi crimini di guerra e contro l’umanità.

Durante quel periodo, le forze israeliane uccisero circa 4000 palestinesi, la maggior parte dei quali civili non armati, tra cui circa 800 bambini. Molte vittime furono uccise dai raid aerei, dai colpi d’artiglieria e da altri attacchi contro i campi rifugiati e altre aree densamente abitate dei Tpo. Altri palestinesi furono vittime di esecuzioni extragiudiziali in attacchi che uccisero decine di persone del tutto estranee a quanto stava accadendo. Migliaia di palestinesi durono arrestati e condannati a lunghi periodi di detenzione amministrativa, senza accusa né processo. Molti detenuti furono sottoposti a torture e altri maltrattamenti.
Le autorità israeliane inoltre eseguirono demolizioni illegali di massa di abitazioni palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania e costruirono una barriera difensiva (secondo terminologia israeliane; muro, secondo quella palestinese) di 700 chilometri lungo la Cisgiordania e parti di Gerusalemme, causando ingenti danni a lungo termine ai palestinesi e pregiudicando la possibilità degli abitanti di decine di villaggi e comunità di beneficiare di un’ampia gamma di diritti umani. Le autorità israeliane proseguirono a costruire ed espandere gli insediamenti illegali. Queste politiche e azioni illegali proseguono tutt’oggi.

Nello stesso periodo, i gruppi armati palestinesi uccisero oltre 1100 israeliani, circa 750 dei quali civili compresi 120 bambini, in attacchi suicidi e sparatorie contro autobus, ristoranti, centri commerciali e altre aree frequentate dalla popolazione civile.