Israele vuole espellere i richiedenti asilo verso i paesi terzi, Amnesty: “Politica crudele”

26 Marzo 2018

©AFP/Getty Images

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Israele vuole espellere i richiedenti asilo verso paesi terzi: per Amnesty International una “Politica crudele e di abdicazione alle responsabilità”

La politica israeliana di espellere richiedenti asilo provenienti dall’Africa verso due non specificati paesi africani è un’abdicazione alle responsabilità nei confronti dei richiedenti asilo e un tipico esempio di quelle misure crudeli che stanno alimentando la “crisi globale dei rifugiati”. Lo ha dichiarato oggi Amnesty International mentre la Corte suprema israeliana sta valutando la legittimità di quella politica.

Israele ha recentemente raggiunto accordi, i cui dettagli sono segreti, con due paesi africani che in molti ritengono si tratti di Ruanda e Uganda.

Sulla base della nuova “Procedura per l’espulsione verso paesi terzi”, entrata in vigore nel gennaio 2018, chi accetta di lasciare il paese riceve 3500 dollari e un biglietto aereo verso il paese di origine o un non precisato paese terzo. Chi rifiuta rischia la detenzione a tempo indeterminato. Il governo israeliano sostiene che la nuova procedura agevoli le “partenze volontarie” dei cosiddetti “infiltrati”.

“Come può il governo israeliano definire ‘volontario’ questo modo di espellere i richiedenti asilo quando l’alternativa loro offerta è il ritorno in luoghi di persecuzione o il carcere a tempo indeterminato? Questa è una scelta che nessuno dovrebbe dover fare”, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche di Amnesty International sul Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Considerato il livello raggiunto dalla crisi globale dei rifugiati, la forzata e dunque illegale espulsione di richiedenti asilo eritrei e sudanesi è un’irresponsabile abdicazione di responsabilità e un esempio di quelle sconsiderate politiche che sono diventate il pilastro di un sistema d’immigrazione e d’asilo che non funziona”, ha aggiunto Luther.

Secondo le autorità israeliane, gli “infiltrati” di sesso maschile provenienti da Eritrea e Sudan devono lasciare Israele entro il 4 aprile. La “Procedura per l’espulsione verso paesi terzi” si basa sulla premessa che l’espellendo non abbia mai chiesto asilo e abbia vissuto irregolarmente nel paese oppure l’abbia chiesto senza ottenerlo. Anche coloro che hanno presentato richiesta d’asilo dopo il 1° gennaio saranno espulsi.

Il governo israeliano non ha fornito dettagli sugli accordi, compresi i nomi dei paesi terzi con cui lo ha sottoscritto, ritenendo che queste informazioni siano confidenziali e potenzialmente dannose per la reputazione internazionale di Israele. Ruanda e Uganda hanno negato l’esistenza degli accordi.

Israele è uno dei paesi del Medio Oriente più prosperi e in salute e vanta un prodotto interno lordo tra i più elevati del mondo.
“Israele, come fanno molte altre nazioni che ne hanno i mezzi, ha la responsabilità di rispondere alla crisi globale dei rifugiati accogliendo richiedenti asilo che cercano disperatamente un luogo dove vivere. È da non credere che le autorità israeliane ora stiano delegando tale responsabilità a paesi che hanno assai minori mezzi e che accolgono già una larga porzione di rifugiati”, ha commentato Luther.

Il prodotto interno lordo di Israele è 50 volte superiore a quello del Ruanda e 55 a quello dell’Uganda. Il Ruanda ospita almeno il triplo dei rifugiati che ha Israele e il numero dei rifugiati ospitati in Uganda è di 20 volte superiore a quello israeliano.

Una politica illegale

Per il diritto internazionale gli accordi tra Israele e i due paesi africani, quali che siano, sono illegali in quanto violano il principio di non-refoulement (“non respingimento”). È infatti vietato trasferire persone in luoghi in cui correrebbero concretamente il rischio di essere perseguitate o subire altre gravi violazioni dei diritti umani o nei quali non sarebbero protette da ulteriori successivi trasferimenti.

La Corte suprema israeliana ha correttamente evidenziato che la natura segreta degli accordi impedisce ai richiedenti asilo di avere protezione legale e di ricorrere contro un provvedimento di espulsione.

Inoltre, molte delle persone da espellere non avranno altra scelta che rimettersi in viaggio, questa volta attraverso la Libia, e cercare di entrare in Europa attraverso un pericoloso viaggio nel Mediterraneo.

“Questa politica pone i richiedenti asilo in una posizione estremamente vulnerabile: rischiano di essere rimandati nel paese di origine e non possono ricorrere contro Israele o il paese terzo ricevente”, ha sottolineato Luther.

“Abbiamo documentato diversi casi di richiedenti asilo espulsi da Israele cui erano stati promessi i permessi di soggiorno e lavoro in Ruanda e Uganda salvo scoprire, all’arrivo, che niente era vero”, ha proseguito Luther.

Nessuno degli eritrei e dei sudanesi espulsi verso Ruanda e Uganda – secondo quanto hanno raccontato a Ong, a ricercatori e all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) – ha ottenuto all’arrivo uno status regolare.

Ruanda e Uganda negano non solo la presenza di richiedenti asilo provenienti da Israele ma anche l’esistenza stessa di accordi, venendo meno in questo modo a qualsiasi obbligo nei confronti dei richiedenti asilo.

Israele volta le spalle a richiedenti asilo e rifugiati: dati scioccanti

La percentuale di approvazione di domande d’asilo di eritrei e sudanesi è estremamente bassa: meno dello 0,5 per cento. Su 15.200 richieste presentate tra il 2013 e il 2017, ne sono state accolte solo 12.

Nell’ultimo decennio Israele ha riconosciuto come rifugiati solo lo 0,1 per cento dei richiedenti asilo eritrei. In confronto, nel 2016 la percentuale di domande accolte dai paesi dell’Unione europea è stata del 92,5 per cento.

La principale ragione di una percentuale così bassa è che Israele, al contrario di quanto prevedono le linee-guida dell’Unhcr, non considera la diserzione dal servizio militare come un requisito per ottenere lo status di rifugiato.

Nel gennaio 2018 la Corte suprema israeliana ha stabilito che l’interpretazione del governo sulla diserzione degli eritrei è incompatibile con la Convenzione del 1951 sullo status di rifugiato. Il 22 marzo, la viceprocuratrice generale Dina Zilber ha dato istruzioni alle autorità per l’immigrazione di riesaminare i casi degli eritrei detenuti nella prigione di Saharonim dopo che la loro richiesta d’asilo era stata respinta.

“Il governo israeliano deve sospendere immediatamente le espulsioni di richiedenti asilo eritrei e sudanesi verso il Ruanda e l’Uganda e garantire loro l’accesso a una procedura equa ed efficace per determinare lo status di rifugiato. Nel frattempo, i governi dei due paesi africani dovrebbero sospendere ogni forma di cooperazione in materia col governo israeliano”, ha affermato Luther.

“Le autorità israeliane devono sapere che il mondo sta osservando oltraggiato il loro palese disprezzo per la vita umana, la dignità e la responsabilità nei confronti della comunità globale”, ha concluso Luther.

Roma, 26 marzo 2018

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