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È prevista il 28 gennaio 2013, in un tribunale di Mosca, l’udienza preliminare nei confronti dell’avvocato Sergei Magnitsky, che anni fa aveva denunciato la corruzione agli alti livelli del sistema politico russo. L’imputato, peraltro, è deceduto nel novembre 2009.
Il procedimento nei confronti di Magnitsky era stato chiuso 13 giorni dopo la sua morte, come previsto dalla legge. Il pretesto per riaprirlo è stato individuato in una sentenza del 2011 della Corte costituzionale secondo la quale, nei casi in cui un sospetto su cui sono in corso indagini o un imputato sotto processo deceda prima della fine del procedimento penale, la famiglia ha il diritto di chiedere che si vada avanti per ottenere la riabilitazione del congiunto.
‘I motivi legali per riaprire questo procedimento giudiziario postumo sono quanto meno dubbi. Persino da morto, Magnitsky è vittima di una violazione dei diritti umani, come il diritto a potersi difendere personalmente in giudizio. Il processo nei confronti di una persona morta e il coinvolgimento imposto ai suoi familiari costituiscono un pericoloso precedente, che potrebbe aprire un nuovo capito nella deteriorata situazione dei diritti umani in Russia’ – ha dichiarato John Dalhuisen, direttore del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
‘I familiari di Magnitsky hanno sempre sostenuto la sua innocenza e non hanno mai chiesto la riapertura del processo, bensì l’incriminazione e la punizione di coloro che lo perseguitarono e ne causarono la morte’ – ha sottolineato Dalhuisen.
Nel 2008, Magnitsky aveva denunciato alle autorità russe di avere scoperto una frode fiscale da 5,4 miliardi di rubli (235 milioni di dollari) ai danni di un fondo d’investimento per cui lavorava. Anziché indagare sulla sua denuncia, nel corso dell’anno la magistratura lo arrestò per il medesimo reato di frode fiscale. Almeno un agente della polizia investigativa risultò tra coloro che Magnitsky aveva accusato di corruzione.
Dopo 358 giorni di carcere preventivo, Magnitsky trascorse in carcere preventivo 358 giorni. Durante quel periodo, spedì numerose leggere all’amministrazione penitenziaria, al ministero dell’Interno, all’ufficio del procuratore generale e al tribunale denunciando la sua detenzione illegale, le minacce e le pressioni ricevute in prigione affinché ritrattasse, i lunghi periodi di isolamento, i maltrattamenti subiti e il diniego di cure mediche a fronte di condizioni di salute sempre peggiori. Quando gli fu diagnosticata una pancreatite acuta e ne fu disposto il ricovero in una struttura ospedaliera carceraria, venne trasferito in un altro centro di detenzione, noto come Butyrka.
Il 12 novembre 2009, nella fase più acuta del dolore, chiese disperatamente di essere curato. Solo il 16 novembre le autorità penitenziarie ammisero che stava male. Venne finalmente trasferito nella struttura ospedaliera penitenziaria già individuata in precedenza, ma anziché ricoverarlo lo ammanettarono, lo chiusero in una cella d’isolamento e lo colpirono a manganellate. Di lì a poche ore, morì.
Dopo mesi di appelli delle organizzazioni per i diritti umani, le autorità giudiziarie aprirono un’inchiesta sulla morte di Magnitsky, che portò all’incriminazione di due medici di Butyrka: il primo è stato assolto nel dicembre 2012, in favore del secondo è intervenuta la prescrizione.
Amnesty International chiede alle autorità russe di porre fine al procedimento postumo nei confronti di Magnitsky e alle pressioni sui suoi familiari e, piuttosto, di indagare in modo concreto sulle cause della sua morte, sottoponendo i responsabili alla giustizia.