Kenya: violenze della polizia e caos dopo le elezioni

31 Ottobre 2017

© AFP/Getty Images

Tempo di lettura stimato: 7'

Una nostra missione di ricerca in Kenya, in occasione della ripetizione delle elezioni presidenziali, documenta le violenze della polizia contro i manifestanti in quella che appare una campagna punitiva contro chi protesta per l’esito elettorale.

Sia a Nairobi che a Kisumu le forze di polizia hanno dovuto affrontare proteste e, in alcune zone, i tentativi di impedire l’apertura dei seggi o d’intimidire i votanti. La polizia ha il dovere di assicurare che chi intende recarsi a votare possa farlo in condizioni di sicurezza e può reagire nel caso in cui le proteste diventino violente ma solo ricorrendo alla forza minima necessaria per gestire la situazione.

L’uso delle armi da fuoco è giustificato solo quando le forze di polizia, o singole persone che dovrebbero proteggere, sono di fronte a un’imminente minaccia di morte o di ferimento grave. In nessuno dei casi riferiti ad Amnesty International la polizia ha agito in modo legittimo e proporzionato alla minaccia.

Molte delle persone raggiunte da proiettili paiono essere state colpite poiché gli agenti hanno aperto il fuoco in modo indiscriminato, anche nei confronti di persone che in tutta evidenza si stavano limitando a osservare le proteste.

Tutti i casi in cui un pestaggio risulta intenzionale costituiscono una violazione dei diritti umani.

Il fatto che le forze di polizia rifiutino di fornire informazioni sulle uccisioni è profondamente preoccupante. Su ogni caso del genere, l’Autorità indipendente di monitoraggio delle operazioni di polizia dovrebbe avviare indagini immediate“, ha commentato Ustus Nyang’aya, direttore di Amnesty International Kenya.

Se si vuole che l’azione delle forze di polizia sia posta a freno e risulti conforme alle linee guida riconosciute a livello internazionale sul mantenimento dell’ordine pubblico, è fondamentale che coloro che le hanno violate e chi era in posizione di comando nei loro confronti siano portati di fronte alla giustizia“, ha concluso Nyang’aya.

Kenya: le violenze indiscriminate a Nairobi e in altre città

Nella capitale Nairobi, la brutalità delle forze di polizia è stata accompagnata da atti di violenza e intimidazioni tra i sostenitori dei due più importanti esponenti politici del paese, il presidente uscente Uhuru Kenyatta e il leader dell’opposizione Raila Odinga.

Un attivista è stato ucciso nello slum di Mathare Nord. Le prove sin qui disponibili indicano che a sparargli siano state le forze di polizia intervenute per affrontare le proteste. La polizia continua a negare di aver aperto il fuoco in diverse circostanze.

Oltre all’uccisione dell’attivista di Mathare Nord, secondo alcune fonti negli ultimi giorni e nella stessa zona sono state ferite a colpi d’arma da fuoco almeno altre quattro persone. I nostri ricercatori hanno raccolto informazioni credibili anche di pestaggi ad opera della polizia.

Amnesty International ha seguito ulteriori casi di uso eccessivo della forza nel giorno delle elezioni e in quelli successivi. Molti di questi casi non sono stati denunciati alla polizia o sono stati negati da quest’ultima. Le vittime hanno estrema paura di raccontare l’accaduto, temendo ritorsioni.

Nella città occidentale di Kisumu, forze di polizia munite di armi pesanti hanno usato illegalmente la forza contro manifestanti e semplici passanti. Il 26 ottobre le forze di polizia hanno ucciso almeno due persone. Un terzo uomo è morto a seguito di ferite inferte con un grande corpo contundente ma le circostanze della sua morte restano sconosciute. Sette persone, tra cui un 16enne, hanno raccontato ai nostri ricercatori di essere state colpite dai proiettili delle forze di polizia. Altre sette persone aggredite e ferite da agenti di polizia tra il 24 e il 27 ottobre, in quattro dei casi dopo che le forze di polizia avevano fatto irruzione nelle loro abitazioni.

Nella maggior parte dei casi si è trattato di vittime casuali del fuoco aperto a casaccio dagli agenti contro le persone che prendevano parte alle proteste.

A Kondele, un uomo di circa 30 anni che vende cibo, ha riferito di essere stato colpito mentre si stava recando al mercato. Quando ha visto gli agenti armati, si è inginocchiato e ha alzato le mani. Un agente ha sparato alla sua mano sinistra ferendolo al dito anulare. Un secondo agente lo ha trascinato presso una fogna costringendolo a bere le acque di scarico. Poi l’uomo è stato picchiato e colpito col calcio di una pistola sul dito precedentemente ferito.

Sempre a Kondele, alle 8 di sera del 27 ottobre, un uomo inseguito dalle forze di polizia ha cercato riparo in casa: “Ho chiuso a chiave la porta di casa, ma gli agenti l’hanno sfondata. Hanno iniziato a picchiarmi sulla testa coi manganelli, ho cercato di proteggermi con le braccia e hanno preso a colpire ovunque. Ho la schiena e le costole doloranti.

All’uomo sono state diagnosticate una frattura al cranio e varie ferite a un braccio. Sono stati necessari alcuni punti di sutura sotto gli occhi: “Come se avesse avuto un incidente in motocicletta”, ha sintetizzato un medico.

Otto agenti armati hanno fatto irruzione nell’abitazione di una donna, iniziando a picchiare il figlio ventenne. Quando lei ha supplicato di smetterla, l’hanno presa a calci sullo stomaco: “Sono entrati in casa dicendo ‘Siete voi quelli che hanno lanciato i sassi’. Ho detto che non eravamo stati noi. Allora ci hanno ordinato di mostrare le mani, le hanno osservate e hanno concluso che erano mani di chi aveva lanciato sassi. Allora hanno iniziato a picchiarci.

Quando Amnesty International ha incontrato suo figlio, questi aveva ancora evidenti segni di ferite a un occhio. Lei e altre cinque persone hanno trascorso la notte in una scuola per timore di ulteriori irruzioni nelle abitazioni.