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Alla vigilia del decimo anniversario dell’inizio dei bombardamenti della Nato sulla Serbia, Amnesty International ha dichiarato che la maggior parte dei responsabili delle sparizioni e dei sequestri di persone di etnia albanese e serba deve ancora affrontare la giustizia. L’organizzazione per i diritti umani ha pertanto rinnovato la richiesta di misure urgenti per risolvere l’enorme problema dei crimini di guerra e dell’impunità per le violazioni dei diritti umani verificatesi dal marzo al giugno 1999.
‘Tanto le autorità kosovare che quelle serbe sono venute meno al dovere di avviare indagini indipendenti, approfondite e imparziali. Solo una manciata di responsabili di sparizioni e sequestri è stata portata in giudizio‘ – ha affermato Nicola Duckworth, direttrice del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
La storia di questi ultimi 10 anni, secondo l’organizzazione per i diritti umani, è piena di esumazioni prive di documentazione, informazioni andate perse, interferenze politiche nel sistema giudiziario, indagini abbandonate e attività duplicate, svolte senza coordinamento da organismi differenti. Tutto questo ha impedito a molti dei parenti delle migliaia di persone scomparse di riavere i resti dei propri cari e, nella maggioranza dei casi, ha significato l’impossibilità di accedere alla giustizia.
Nel 1999, oltre 3000 cittadini di etnia albanese furono vittime di sparizione a opera della polizia, dell’esercito e di gruppi paramilitari serbi; altri vennero sequestrati dai gruppi armati dell’opposizione kosovara.
Circa 800 tra serbi, rom e appartenenti ad altre minoranze vennero a loro volta rapiti dall’Esercito di liberazione del Kosovo, in molti casi sotto gli occhi della forza di peacekeeping a guida Nato, dopo che il conflitto armato internazionale era cessato.
Sono 1900 le famiglie serbe e kosovare che ancora aspettano notizie sul destino dei propri cari. Amnesty International ha incontrato molte di esse nel febbraio di quest’anno, a 10 anni di distanza dalla propria missione effettuata nel 1999, all’indomani della fine del conflitto.
‘I familiari degli scomparsi continuano a vivere con ansia e angoscia, senza sapere cosa ne è stato dei propri parenti, nell’impossibilità di celebrare i loro funerali e commemorarli. A oggi, solo la metà dei corpi degli scomparsi è stata restituita alle famiglie per la sepoltura‘ – ha detto Duckworth. ‘Queste famiglie sono a loro volta vittime di una continua violazione del diritto a conoscere la sorte dei propri congiunti. Non è stato loro garantito l’accesso alla giustizia né tanto meno a un risarcimento o a una riparazione giudiziaria‘.
Amnesty International ha chiesto alle autorità della Serbia e del Kosovo, nonché alla missione Eulex dell’Unione europea, di cooperare sul piano giudiziario per informare le famiglie sulla sorte dei propri cari e portare i responsabili delle violazioni dei diritti umani di fronte alla giustizia.