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Amnesty International ha sollecitato il governo della Bielorussia a non eseguire la condanna a morte emessa il 30 aprile 2013 nei confronti di un detenuto accusato dell’omicidio di un compagno di prigionia nel carcere di Mahilëŭ. La sentenza potrebbe essere eseguita entro pochi mesi.
Il condannato, un uomo di cui non sono state rese note le generalità, è originario dalla regione di ytomyr, in Ucraina. Prima di finire in carcere, risultava vivere in Bielorussia senza fissa dimora. Già recidivo, l’ulteriore condanna ha determinato la pena di morte.
Sono ormai di lunga data le preoccupazioni di Amnesty International sul diniego del diritto a un processo equo nel paese che è rimasto l’unico in Europa e nello spazio ex sovietico dell’Asia centrale a eseguire condanne a morte.
‘È una vergogna, per la Bielorussia, essere l’unico stato in Europa che ancora esegue condanne a morte. Le autorità devono immediatamente commutare questa condanna e stabilire una moratoria ufficiale sulle esecuzioni in attesa dell’abolizione della pena di morte’, ha dichiarato David Diaz-Jogeix, vice direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
È questa la prima condanna a morte in Bielorussia dopo il caso di alto profilo di Uladzslau Kavalyou e Dzmitry Kanavalau, condannati nel novembre 2011 e messi a morte nel marzo 2012.
‘Le autorità bielorusse devono fornire informazioni più obiettive su questo caso, invece di portare a termine questa punizione crudele, inumana e degradante con l’ormai tipica reticenza’, ha dichiarato David Diaz-Jogeix.
Da molto tempo, Amnesty International esprime preoccupazione sulla segretezza che circonda la pena di morte in Bielorussia.
I prigionieri rischiano di essere torturati fino a farli ‘confessare’, mentre i condannati a morte non hanno accesso ad adeguate procedure di ricorso.
Le esecuzioni sono effettuate con un colpo di pistola alla nuca. I prigionieri vengono informati soltanto poche ore o addirittura minuti prima dell’esecuzione.
I corpi dei detenuti uccisi non vengono restituiti alle famiglie per la sepoltura, né queste vengono informate sul luogo in cui sono sepolti.
Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi, senza eccezioni.