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Gay, attivista di Amnesty International e giornalista del quotidiano indipendente russo “Novaya Gazeta“: una miscela letale per Khudoberdi Nurmatov, meglio conosciuto come “Ali Feruz“, che dallo scorso agosto le autorità di Mosca cercano di rimandare in Uzbekistan, dopo averlo arrestato e avergli negato l’asilo politico.
Nato in Russia e poi trasferitosi in Uzbekistan, paese del quale aveva preso la cittadinanza a 17 anni, nel 2009 Ali Feruz era stato avvicinato dai servizi segreti locali, che gli avevano chiesto di diventare un loro informatore. Al rifiuto, era stato arrestato e torturato. Per questo motivo aveva lasciato il paese e, dopo due anni di peregrinazioni, era arrivato in Russia. Il percorso opposto, il 24 gennaio, è stato provvisoriamente interrotto dalla Corte Suprema che ha ordinato la revisione del caso.
L’Uzbekistan è agli ultimi posti delle classifiche sulla libertà di stampa e criminalizza la “sodomia”. Per i dissidenti non c’è altro destino che un processo-farsa, preceduto dalla tortura e seguito da una dura condanna.
Recentemente, la Germania ha fatto sapere che è disponibile a concedere un permesso di soggiorno temporaneo ad Ali Feruz. C’è da sperare che i giudici russi tengano conto di questa novità.
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