Tempo di lettura stimato: 9'
La sentenza del Tribunale civile di Roma, depositata il 16 settembre, ha finalmente riconosciuto il diritto alla protezione internazionale per Mohamed Dihani, difensore dei diritti umani e attivista per i diritti e l’autodeterminazione del popolo saharawi. A causa del suo attivismo pacifico, Dihani è stato vittima, per lungo tempo, di gravi violazioni dei diritti umani da parte delle autorità marocchine, che vanno dalla detenzione arbitraria, alle torture, alle molestie legali e amministrative e alla sorveglianza.
“Questa importante sentenza rende finalmente giustizia a un difensore dei diritti umani che per anni ha subito conseguenze gravissime in Marocco per il suo attivismo pacifico ed è stato ingiustamente accusato di rappresentare una minaccia per l’Italia”, ha affermato Debora Del Pistoia, ricercatrice di Amnesty International Italia.
“Chi difende i diritti umani deve poter operare in sicurezza e non essere esposto a ripercussioni per il proprio lavoro e deve poter ricevere la protezione adeguata senza rischi di essere reinviato in contesto in cui rischia di subire violazioni”.
“Ho atteso per quindici anni questo momento: trovarmi in un paese sicuro, sotto la protezione dello Stato che mi accoglie. È un’esperienza completamente nuova per me, poiché ora comprendo il significato della protezione. Per me, la questione principale è la causa saharawi e la mia libertà”, ha sottolineato Dihani.
La sentenza ribalta la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che nel maggio 2023 aveva rigettato la richiesta di protezione internazionale di Dihani, in quanto ne ha riconosciuto l’attivismo politico e sottolineato la coerenza delle sue denunce relativamente alle torture subite, ampiamente documentate da organizzazioni internazionali come Amnesty International, dal Gruppo delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie e accertate a livello medico-legale dai sanitari del centro SAMIFO dell’Asl di Roma nel corso del procedimento di valutazione della sua richiesta d’asilo.
La decisione del Tribunale inquadra le persecuzioni vissute da Dihani nell’ampio quadro di repressione sistematica ai danni di coloro che esprimono il proprio dissenso nei confronti delle autorità marocchine e in particolare che promuovono l’autodeterminazione del Sahara occidentale. Per il Tribunale di Roma è evidente la “stretta connessione tra l’attivismo per la causa saharawi e le ritorsioni del governo marocchino”.
Alla luce delle condizioni di repressione tuttora esistenti nel Sahara occidentale e dell’attivismo politico ancora in corso da parte di Dihani, la sentenza conclude infine che il Marocco non sia un paese sicuro, perché permane il rischio reale di subire atti persecutori e gravi violazioni dei diritti umani fondamentali da parte delle autorità in caso di ritorno.
Il Tribunale definisce infine “inspiegabile l’opposta decisione a cui è pervenuta la Commissione territoriale di Roma, infatti lasciata del tutto priva di qualsiasi motivazione”. L’argomentazione della Commissione, basata sull’affermazione del Marocco come paese d’origine sicuro, non può in alcun modo essere condivisa, secondo la sentenza d’appello.
“Il caso di Dihani risulta particolarmente rilevante in quanto, proprio perché fortemente documentato, rappresenta un’occasione importante per far emergere come le decisioni dell’amministrazione sulle domande di asilo possano essere caratterizzate da significative violazioni procedurali e sostanziali, nonché possano essere influenzate da pericolose relazioni internazionali con regimi autoritari, qual è il Marocco”, ricordano l’avvocata Cleo Maria Feoli e l’avvocato Andrea Dini Modigliani, legali dell’attivista saharawi.
“Speriamo che la decisione possa costituire un supporto per tutte quelle persone richiedenti asilo che non possono documentare in modo così dettagliato le proprie vicende e che nondimeno hanno diritto ad una valutazione indipendente ed approfondita della loro domanda di protezione.”
Ulteriori informazioni
Il 22 luglio 2022, dopo lunghi anni di attesa, Dihani era riuscito ad entrare in territorio italiano per poter chiedere la protezione internazionale. Contestualmente, Dihani è entrato a far parte dell’HRD Protective Fellowship, il programma di protezione di Amnesty International Italia che consente alle persone che difendono i diritti umani a rischio o che necessitano di recuperare le forze, di essere ospitate in Italia, garantendo loro l’assegnazione di borse di studio per un periodo temporaneo.
L’ingresso in Italia era stato possibile grazie a due rilevanti sentenze del Tribunale civile di Roma, del maggio e luglio 2022, che avevano riconosciuto il diritto di Dihani di fare ingresso sul territorio nazionale per presentare domanda di protezione internazionale e ordinato alle autorità italiane di rilasciare immediatamente un visto d’ingresso.
Dihani aveva inizialmente presentato richiesta di visto d’ingresso per cure mediche in Italia nel 2018, sostenuto da Amnesty International, per potersi sottoporre a trattamenti di riabilitazione fisica e psicologica a seguito delle gravi torture subite durante la detenzione arbitraria in Marocco durata dal 2010 al 2015. Il consolato italiano di Casablanca aveva però rifiutato il visto, comunicando che Dihani risultava segnalato nel database europeo per la gestione delle frontiere (SIS, Schengen Information System) dal 2010, senza fornire ulteriori elementi sulle ragioni di tale iscrizione.
Successivamente, a partire dal 2019, Dihani si era pertanto rifugiato temporaneamente in Tunisia attraverso un programma di Amnesty International di sostegno alle persone che difendono i diritti umani a rischio, in attesa di poter cancellare la segnalazione nella blacklist Schengen che ostacolava il suo ingresso in Italia e la successiva richiesta di protezione internazionale.
Dihani aveva presentato in seguito istanza di accesso e di cancellazione dei dati personali contenuti nel SIS, in quanto ritenuti espressione delle segnalazioni illegittime da parte delle autorità marocchine. Il ministero dell’Interno italiano aveva in due riprese risposto che le ragioni della segnalazione non potevano essere rivelate perché fondate su un dossier riservato e segretato, ribadendo che Dihani rappresentava una minaccia per la sicurezza nazionale.
In tre giudizi diversi il Tribunale di Roma aveva ribadito illegittima la segnalazione nella banca dati SIS. In primis nel 2022 il Tribunale civile di Roma, nel riconoscere il diritto d’ingresso di Dihani per presentare richiesta di protezione internazionale, aveva ritenuto incidentalmente non fondata la segnalazione nella banca dati SIS. In un separato giudizio, il Tribunale di Roma aveva nel 2023 ribadito nuovamente l’illegittimità della segnalazione riconoscendone la natura persecutoria, sentenza poi impugnata in Cassazione dall’avvocatura dello stato e ancora in fase di elaborazione.
La sentenza d’appello che riconosce lo status di rifugiato esplicita ancora una volta che le autorità italiane non sono state in grado, nel corso di tre diversi giudizi, di sostenere o argomentare, attraverso documentazione o evidenze, la supposta pericolosità di Dihani. Pertanto, secondo il Tribunale, le informazioni addotte dal ministero dell’Interno a sostegno della valutazione della pericolosità dell’attivista provengono dal Marocco, ovvero dallo stesso stato responsabile delle persecuzioni.
A partire dal 16 settembre, il ministero dell’Interno ha 30 giorni per poter presentare ricorso in Cassazione contro il riconoscimento dell’asilo.
“In un momento cruciale per il riconoscimento di un diritto fondamentale per un attivista dei diritti umani, esortiamo le autorità italiane ad adoperarsi per garantire un ambiente favorevole alle persone che difendono i diritti umani che continuano a essere presi di mira a causa del loro lavoro”, ha concluso Del Pistoia.
Riferimenti