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Sono trascorsi 10 anni dall’uccisione di Stefano Cucchi.
Arrestato per detenzione di stupefacenti nella tarda serata del 15 ottobre 2009, viene rinchiuso a Regina Coeli e poi trasferito all’ospedale Pertini di Roma dove morirà sei giorni dopo, il 22 ottobre.
I primi a denunciare una morte “su cui fare chiarezza e giustizia” sono Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, e Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto. Entrambi fanno notare che, nonostante i fatti non siano di particolare gravità, Stefano Cucchi non viene inviato agli arresti domiciliari.
Quella notte, infatti, Stefano Cucchi passa attraverso due caserme dei Carabinieri e la mattina seguente viene portato in tribunale per la convalida dell’arresto. Già in quell’occasione, le sue condizioni di salute destano preoccupazione, per questo viene fatto visitare dal medico del tribunale. Nelle ore successive, nel carcere di Regina Coeli, dopo una visita trasferimento immediatamente al pronto soccorso del Fate bene fratelli per accertamenti. Stefano rifiuta il ricovero ma, il giorno dopo, dopo ulteriori accertamenti, viene ricoverato nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini.
In tutto questo tempo ai genitori non è mai stato consentito di incontrare Stefano. L’autorizzazione al colloquio giunge per la prima volta il 23 ottobre, ma è ormai troppo tardi perché Stefano morirà nella notte tra il 22 e il 23 ottobre. I genitori e sua sorella Ilaria rivedranno Stefano all’obitorio e si troveranno di fronte a un “volto devastato“.
La famiglia Cucchi ha vissuto anni di processi, oltre 40 udienze, insieme a perizie, maxi perizie, centinaia di testimoni e decine di consulenti tecnici ascoltati.
Il 15 maggio 2018, nell’ambito del processo bis di primo grado, il maresciallo dei carabinieri Riccardo Casamassima, principale testimone nel processo contro cinque carabinieri, tre dei quali accusati della morte del geometra romano, ha ribadito in aula le sue accuse ai colleghi.
L’11 ottobre 2018, Francesco Tedesco, uno dei cinque carabinieri imputati, ha confessato e accusato gli altri colleghi del pestaggio del giovane romano. Il carabiniere, nella sua deposizione, ha anche rivelato l’esistenza di una nota scritta da lui stesso in cui spiegava che cosa era successo a Stefano Cucchi. La nota sarebbe stata inviata alla stazione Appia dei carabinieri e sarebbe stata fatta sparire.
Cinque gli imputati: Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, entrambi accusati di omicidio preterintenzionale, per i quali è arrivata la richiesta di condanna a 18 anni di carcere; Francesco Tedesco, per il quale è stata sollecitata una sentenza d’assoluzione con la formula “per non aver commesso il fatto“, ma una sua condanna a tre anni e mezzo di reclusione per l’accusa di falso e calunnia (nei confronti degli agenti penitenziari); il maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca comandante della Stazione Appia, accusato anche lui di falso e calunnia e per il quale il pm chiede una condanna a 8 anni di reclusione; e infine Vincenzo Nicolardi, accusato di calunnia nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso.