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Amnesty International ha chiesto al presidente siriano Bashar al-Assad di dare completo seguito alla proclamata ‘amnistia generale’ per tutti i reati commessi prima del 31 maggio 2011, rilasciando tutti i prigionieri di coscienza, compresi quelli arrestati per aver preso parte a manifestazioni pacifiche.
Secondo alcune fonti, centinaia di prigionieri (tra cui nove prigionieri di coscienza) sarebbero stati già rilasciati. Ma gli attivisti per i diritti umani hanno segnalato ad Amnesty International che le decisioni su chi rimettere in libertà sembrano del tutto casuali e che centinaia e centinaia di persone sono ancora in carcere, molte delle quali senza contatti col mondo esterno.
‘Se l’annuncio del presidente al-Bashir vuole essere credibile, tutti i prigionieri di coscienza che languono da anni nelle carceri siriane devono essere rilasciati immediatamente. Inoltre, il presidente deve prendere misure concrete per porre fine alle violazioni dei diritti umani da parte delle sue forze di sicurezza’ – ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
La maggior parte delle persone che hanno beneficiato dell’amnistia era stata arrestata nel corso delle proteste popolari iniziate a metà marzo. Tra le persone tornate in libertà vi sarebbero anche nove prigionieri di coscienza, finiti in carcere prima dell’inizio delle manifestazioni.
Secondo Amnesty International, l’annuncio dell’amnistia, reso noto poco prima dello svolgimento di un importante dibattito al Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla crisi siriana, non deve spingere la comunità internazionale ad allentare la pressione sulla dirigenza di Damasco. Il Consiglio di sicurezza deve deferire la Siria al procuratore della Corte penale internazionale e rendere noto al presidente al-Assad e al suo entourage che saranno chiamati a rispondere alla giustizia internazionale dei crimini commessi dalle loro forze di sicurezza contro la popolazione siriana.
Dall’inizio delle proteste, le forze di sicurezza hanno scatenato un’ondata di violenza uccidendo almeno 750 persone, arrestandone migliaia e ricorrendo sistematicamente alla tortura.
Almeno 12 prigionieri sono morti a seguito delle torture subite. I corpi dei fratelli So’dat e Majd al-Kurdy, originari della città di Tel Kelakh, sono stati restituiti alla famiglia alla fine di maggio. Presentavano ferite da taglio al petto e alle gambe e il loro pene era stato mozzato.