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Il 9 gennaio sono iniziate le operazioni di voto per il referendum sull’indipendenza del sud Sudan. Il rispetto dei diritti umani sarà determinante per il positivo svolgimento di questo evento di portata storica.
Mentre il mondo guarda con grande attenzione allo svolgimento del referendum nel sud, nel Darfur prosegue l’offensiva militare, con conseguenti violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito sudanese. Nel dicembre 2009, oltre 20.000 civili sono stati costretti a lasciare i campi di Dar Al Salam, Shangil Tobaya e Khor Abeche, nel nord e nel sud del Darfur. Di questi attacchi si è avuta scarsa notizia. Già nel 2004 e nel 2005, all’ombra dei negoziati per l’Accordo di pace tra il nord e il sud, analoghi crimini commessi in Darfur erano passati inosservati.
Grazie all’Atto sulla sicurezza nazionale emanato nel 2010, i Servizi nazionali per la sicurezza e l’intelligence (Niss) continuano a mantenere poteri illimitati di arresto, detenzione, perquisizione e sequestro e a svolgere queste attività in piena immunità.
Amnesty International ha documentato molti casi in cui il Niss ha preso di mira persone del Darfur e del Sud. Nel novembre 2010, ha arrestato almeno 11 attivisti e giornalisti darfuriani, ancora detenuti in attesa di processo. L’organizzazione per i diritti umani teme che durante e dopo il referendum la persecuzione delle minoranze etniche nel nord possa intensificarsi.
Le donne continuano a subire trattamenti crudeli, inumani e degradanti, a seguito delle ordinanze in vigore nel nord che consentono arresti e frustate per abbigliamento e condotta indecenti.
Per quanto riguarda il Sud, Amnesty International ha documentato violazioni dei diritti umani commesse ad opera delle forze di sicurezza e dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan (Spla) durante le elezioni dell’aprile 2010. Come nel Nord, anche nel Sud giornalisti sono stati arrestati e minacciati per aver riferito su brogli elettorali. Candidati e votanti sono stati minacciati fatti oggetto di intimidazioni in diverse parti del Sud. Negli ultimi anni, Amnesty International ha denunciato violazioni da parte dello Spla, compresi attacchi nei confronti della popolazione locale.
Gli attacchi alla libertà di espressione, associazione e riunione pacifica sono state una costante in questi anni. Prima e durante le elezioni dell’aprile 2010 manifestazioni pacifiche sono state disperse con la forza e giornalisti e osservatori sono stati soggetti a detenzione arbitraria.
Alla fine del 2010, nel nord del paese, manifestanti pro e contro l’indipendenza del Sud sono venuti alle mani e manifestazioni per la secessione del Sud sono state stroncate con la forza dalla polizia. A luglio, un quotidiano filo-governativo è stato chiuso per aver pubblicato un articolo sulla possibile secessione del Sud.
Una questione ancora aperta, e foriera di possibili discriminazioni, riguarda i cittadini del Sud che vivono nel nord del paese, oltre un milione e mezzo di persone, nel caso in cui il Sud voti per la secessione. Già prima del referendum, i meridionali nel nord subivano persecuzione ed emarginazione: la maggior parte di essi vive in campi per sfollati senza alcun titolo certo di proprietà, sottoposti alle angherie delle forze di sicurezza. Analogamente, non è stato raggiunto alcun accordo sui diritti dei cittadini del nord che vivono nel Sud. In assenza di un accordo sui diritti di cittadinanza e residenza delle minoranze, Amnesty International teme che possano verificarsi esodi di massa.
Di fronte a questa situazione, Amnesty International ha rivolto alle autorità sudanesi le seguenti richieste:
l’immediata cessazione degli attacchi contro i civili e i campi profughi nel Darfur e l’impegno a rispettare il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto umanitario durante e dopo lo svolgimento del referendum;
un messaggio chiaro e pubblico da parte del Governo di unità nazionale, del Governo del Sud Sudan e della commissione referendaria del Sud Sudan, che le violazioni dei diritti umani non saranno tollerate;
l’istituzione di un sistema efficace di registrazione e di esame delle denunce relative alle limitazioni al diritto di voto;
l’individuazione di modalità concrete di denuncia delle intimidazioni, la pubblicità sulla loro esistenza e il loro funzionamento;
l’emanazione di direttive chiare, da parte degli alti dirigenti di polizia, affinché i loro sottoposti non si rendano responsabili di minacce e intimidazioni nei confronti di chi vuole esercitare in modo pacifico il suo diritto alla libertà di opinione e di espressione;
l’impegno, da parte dei governi del nord e del Sud, a garantire che tutte le denunce di violazioni dei diritti umani siano sottoposte a indagini rapide ed efficaci da parte di autorità indipendenti e imparziali, e che le persone giudicate responsabili siano chiamate al rispondere del loro operato;
nel caso in cui vinca il si alla secessione del Sud e le persone non siano autorizzate a mantenere nazionalità e cittadinanza di entrambi i paesi, la garanzia che esse possano scegliere liberamente quale nazionalità o cittadinanza prendere. Le condizioni per ottenere nazionalità o cittadinanza e per trasmetterla ai propri figli, non devono essere discriminatorie per motivi di nascita, origine etnica, religione, sesso, stato civile o altri fattori del genere. Sarà inoltre necessario prevedere procedure efficaci per garantire il diritto alla vita familiare nel caso in cui i componenti di una stessa famiglia abbiano nazionalità o cittadinanza differenti.