L’Arabia Saudita ospita il G20. Amnesty International: “Non fatevi ingannare, chi promuove il cambiamento è in carcere”

20 Novembre 2020

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Alla vigilia del vertice del G20, ospitato virtualmente dall’Arabia Saudita, Amnesty International ha sollecitato i leader che vi prenderanno parte a chiedere conto alle autorità saudite della loro vergognosa ipocrisia sui diritti delle donne.

L’emancipazione delle donne spicca tra i temi in agenda, nonostante il fatto che le attiviste che hanno promosso le campagne per i diritti delle donne languono in carcere o sono sotto processo.

In particolare, Amnesty International ha invitato i leader del G20 di unirsi alla richiesta di scarcerare immediatamente e incondizionatamente Loujain al-Hathloul, Nassima al-Sada, Samar Badawi, Nouf Abdulaziz e Maya’a a-Zahrani, arrestate nel 2018 solo a causa del loro impegno in favore dei diritti umani.

“Per le autorità saudite il G20 è un momento importante: vogliono far conoscere al mondo la loro agenda riformatrice e far vedere che il loro paese è aperto agli affari. Nel frattempo, però, le autentiche promotrici delle riforme sono dietro le sbarre”, ha dichiarato Lynn Maalouf, vicedirettrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.

“Invece di dare retta all’ingannevole narrativa del governo saudita, durante il vertice i leader del G20 dovrebbero prendere posizione in favore delle coraggiose attiviste il cui sincero impegno per i diritti delle donne è costato loro la libertà”, ha aggiunto Maalouf.

Negli ultimi anni le autorità saudite cercato hanno di rimodellare l’immagine del paese attraverso dispendiose campagne di comunicazione tese a presentare il principe della Corona Mohamed bin Salman come un riformatore. Nel 2018 è stata assai pubblicizzata come prova di progresso la fine del divieto di guida per le donne. Nelle settimane precedenti, tuttavia, le più note promotrici della campagna per abolire quel divieto erano state arrestate e messe in carcere.

Le vere riformatrici

Loujain al-Hathloul, una delle protagoniste della campagna per il diritto a guidare, è stata arrestata nel maggio 2018. Era stata già arrestata nel 2014 e detenuta per 73 giorni. Dopo il rilascio, aveva continuato a lottare per l’abolizione del divieto di guida per le donne e per la fine del sistema del tutore maschile. Il 26 ottobre di quest’anno ha intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro il rifiuto di farle mantenere contatti regolari con la famiglia. Si sente molto debole ed esausta e vi sono molte preoccupazioni per le sue condizioni di salute.

Nassima al-Sada e Samar Badawi sono state arrestate nell’agosto 2018. Badawi, oltre ad aver preso parte alla campagna per porre fine al divieto di guida per le donne, si è spesa per chiedere la scarcerazione di suo marito, l’avvocato per i diritti umani Waleed Abu al-Khair, e di suo fratello, il blogger Raif Badawi. Al-Sada ha svolto per molti anni campagne per i diritti civili e politici, i diritti delle donne e quelli della minoranza sciita della Provincia orientale dell’Arabia Saudita.

Nouf Abduaziz, blogger e giornalista, è stata arrestata nel giugno 2018. Lo stesso è accaduto all’attivista Maya’a al-Zahrani, che aveva pubblicato un post per chiedere la scarcerazione di Abdulaziz.

Le cinque donne sono tuttora in carcere. Alcune di loro sono state sottoposte a maltrattamenti e torture e tenute in isolamento.

Assumendo la presidenza del G20, le autorità saudite hanno pubblicizzato tutta una serie di iniziative sulle opportunità di lavoro per le donne e hanno dichiarato che l’agenda del vertice è “fortemente orientata” verso l’emancipazione delle donne e delle ragazze.

Il 10 novembre l’ambasciatore saudita nel Regno Unito ha affermato che le autorità del suo paese stavano valutando un atto di clemenza nei confronti delle attiviste alla vigilia del vertice. La sorella di Loujain al-Hathloul ha liquidato queste parole come “un espediente di pubbliche relazioni”.

“A queste donne non dovrebbe applicarsi la ‘clemenza’: non hanno fatto altro che esercitare in modo pacifico i loro diritti umani”, ha commentato Maalouf.

“Visione 2030”: mancano i diritti umani

Nel 2017 l’Arabia Saudita ha lanciato “Visione 2030”, un piano destinato a diversificare l’economia e a creare maggiori opportunità di lavoro per le donne e i giovani.

Alla vigilia del vertice del G20, un gruppo di attivisti sauditi ha lanciato la “Visione del popolo per le riforme”, un piano sui diritti umani in 13 punti su cui le autorità sono chiamate ad agire. Abdallah Alaoudh, uno dei promotori, lo ha descritto come “il capitolo mancante nella Visione 2030”.

La “Visione del popolo” chiede il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza, il rispetto dei diritti delle donne e di quelli dei migranti, l’abolizione della pena di morte e la fine delle violazioni del diritto internazionale nel conflitto dello Yemen.

“In questo fine settimana, per guadagnare consenso politico e opportunità economiche, le autorità saudite si attribuiranno il merito delle riforme per le quali hanno lottato le attiviste in carcere. Chiediamo ai leader del G20 di prendere la parola contro questa vergognosa ipocrisia. Le attiviste e gli attivisti che continuano a lottare per i diritti umani in Arabia Saudita sono le vere voci delle riforme: dovrebbero essere ascoltate invece di rimanere chiuse nelle loro celle”, ha concluso Maalouf.