Foro di Piero Gemelli
Tempo di lettura stimato: 4'
Lo scorso ottobre sei stata a Lampedusa in occasione del decennale della tragedia del 2013, dove persero la vita 368 persone. Ci racconti come hai vissuto quei giorni?
L’esperienza di Lampedusa è stata molto forte e molto toccante. Io ci tenevo a esserci perché delle volte non basta semplicemente ricordare, informarsi. Mi sembrava doveroso partecipare a questa celebrazione della vita, per tutti coloro che si sono salvati e che ogni anno tornano per ricordare, e a questa dimostrazione di rispetto per quelle morti in mare, ma anche per tutte le altre persone che muoiono nel nostro mare. È stato molto emozionante. Un’immagine che mi ha colpito moltissimo è quella delle scarpe molto piccole che ho visto al museo della migrazione, ma anche i resti delle barche, vedere gli oggetti di queste persone, le giacche: è qualcosa di sconvolgente e forse dovremmo ogni tanto fermarci a riflettere sulla realtà drammatica di questa situazione.
In un articolo hai scritto: “Quando siamo di fronte a qualcosa di troppo grande il rischio che il nostro inconscio lo trasformi in letteratura è molto alto”. Cosa significa questa frase di fronte alla tragedia vissuta dai migranti, ma anche di fronte ai conflitti in Ucraina e a Gaza?
Leggiamo quello che succede e la televisione ci bombarda di notizie, una dopo l’altra, tanto che rischiano di diventare semplici fatti che si sovrappongono. Paradossalmente, più informazioni ci arrivano e meno approfondimento c’è. Il rischio è che rimaniamo assuefatti anche di fronte a una tragedia. Per cui non fa più notizia dentro di noi, non siamo più sconvolti, colpiti. È importante invece riprendere il contatto con alcune cose.
Hai anche partecipato, con la lettura di alcuni toccanti testimonianze, al documentario “Male Nostrum”, realizzato da Fabio Masi. Come si intrecciano arte e attivismo?
Ho preso parte a questo documentario perché anche a me capita di seguire attori e attrici, persone del mondo della musica, che stimo, e se però attraverso la loro popolarità mi parlano di qualcos’altro che non ha a che fare con il loro lavoro, il mio interesse è sicuramente diverso rispetto a ciò che mi comunica chi non conosco. E quindi penso che questo possa essere un modo per veicolare dei temi, per far riflettere, stimolare un dibattito, un approfondimento, una curiosità. Tutto quello che può generare discussione è vitale. Per questo l’arte può fare molto, anche perché comunica a livello emotivo, come accade con il bellissimo film di Matteo Garrone, “Io capitano”: il tema ci arriva in modo forte ed empatico, perché ci arriva attraverso un’opera d’arte.
Questa intervista è stata pubblicata sulla nostra rivista I Amnesty.