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Rizana Nafeek, una lavoratrice migrante dello Sri Lanka, è stata decapitata il 9 gennaio 2013 nella città di Dawadni, a est della capitale dell’Arabia Saudita, Riad.
La donna era stata condannata a morte il 16 giugno 2007 per l’omicidio di un neonato che le era stato affidato, avvenuto due anni prima. Si era sempre difesa sostenendo che la morte per soffocamento era stata accidentale e causata dalla sua imperizia come baby-sitter.
Il passaporto con cui, nel 2005, Rizana Nafeek era migrata in Arabia Saudita riportava come anno di nascita il 1982: una condizione, quella della maggiore età, necessaria per poter trovare un impiego nel paese. Secondo il certificato di nascita, era in realtà nata nel 1988.
Ciò significa che l’Arabia Saudita ha messo a morte una minorenne al momento del reato, in violazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia: circostanza di cui, grazie al potere discrezionale dei giudici, non si è tenuto conto negli appelli contro la sentenza di primo grado, emessa in un processo celebrato senza avvocato difensore e senza un servizio di traduzione adeguato dall’arabo al tamil.
Quella di Rizana Nafeek è la seconda esecuzione del 2013 in Arabia Saudita. Nel 2012, Amnesty International ha registrato almeno 79 esecuzioni, di cui almeno 27 nei confronti di cittadini stranieri.
La pena di morte in Arabia Saudita è prevista per un’ampia serie di reati. Negli ultimi anni, molte condanne a morte sono state eseguite nei confronti di lavoratori migranti provenienti da paesi poveri.