disegno di Gianluca Costantini
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di Gianni Rufini, Direttore generale di Amnesty International Italia
Oggi si celebra il funerale di Willy Monteiro Duarte. L’ultimo a pagare con la vita il clima d’odio e razzismo di questo paese. Anche se la dinamica del suo omicidio non è ancora chiara, non c’è dubbio sulle “colpe” di Willy.
Innanzitutto, era della “razza” sbagliata: anche se non si coglie molto la differenza tra lui e i suoi probabili assassini, c’è quella sfumatura scura in più che lo classifica come “non umano”. Poi era amato, integrato, bravo, simpatico a tutti: non si può permettere a uno “straniero” (alias immigrato, clandestino, invasore) di essere apprezzato dagli “italiani”.
Ultima aggravante: era un “buonista”, un ragazzo intervenuto per sedare una rissa, per proteggere una vittima del branco. Un branco fatto di ragazzi che si allenano a diventare macchine di morte, e che non vedono l’ora di poter usare quanto hanno imparato.
Per questi motivi un gruppo di giovani di una cittadina di provincia hanno deciso che potesse valere la pena di finire in galera e rovinarsi la vita definitivamente.
Forse, qualcuno gli ha fatto credere che, trattandosi di “un negro”, la cosa non fosse poi così grave. Forse, qualcuno li ha convinti di essere impegnati per difendere la purezza della “razza italiana”. Forse qualcuno gli ha fatto pensare che tanto, quando arriverà al potere chi dicono loro, saranno liberati e celebrati come eroi.
Willy è vittima, prima e più che dei suoi assassini materiali, di chi in questi anni ha seminato odio. Coperto dal proprio ruolo politico o mediatico, e da quei diritti di parola, pensiero ed espressione che vorrebbe negare a tutti gli altri.
Non ci importa chi, alla fine, verrà giudicato colpevole di questo orrendo delitto. Noi sappiamo già i motivi per cui è stato assassinato.