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Nascere donna ed essere di origine rohingya significa, molto probabilmente, essere destinata a una vita fatta di privazioni e discriminazioni di natura etnica, religiosa e sessuale.
Abbiamo raccolto tre storie che raccontano l’ingiustizia quotidiana vissuta dalle donne rohingya.
Rohima Akter Khushi, 20 anni, è una giovane rifugiata rohingya, la maggiore di cinque fratelli nati nel campo profughi di Kutupalong a Cox’s Bazar, in Bangladesh. È una dei circa 34.000 rifugiati rohingya registrati in Bangladesh.
Dopo aver completato gli studi superiori, a gennaio 2019 si è iscritta alla Cox’s Bazar International University per conseguire una laurea in giurisprudenza.
Dopo che un’agenzia di stampa internazionale l’ha inserita in un video come una delle pochissime giovani donne rohingya che sono state in grado di raggiungere l’eccellenza accademica, il 6 settembre 2019, l’università le ha proibito di proseguire gli studi esclusivamente a causa della sua identità di rohingya.
Le autorità universitarie hanno sospeso Rohima poiché “nessun rohingya può studiare in alcuna università pubblica o privata secondo le regole del governo del Bangladesh“.
Dalla sospensione, la giovane donna soffre di depressione: “In casa mi sento come in una prigione”, ci ha detto.
Rohima sogna di risollevare la sua comunità dalla miseria promuovendo l’accesso all’istruzione per ogni persona, inclusi i rohingya. “Dopo che [ho] completato la mia istruzione, mi piacerebbe lavorare per i diritti umani e garantire strutture educative per la comunità rohingya e anche per tutti coloro che non ottengono questo diritto umano“.
Negare l’educazione sulla base della sua identità di rohingya è un affronto alle leggi internazionali sui diritti umani che il Bangladesh ha ratificato, incluso l’articolo 13 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali che impone agli Stati parte di “riconoscere il diritto di tutti all’istruzione senza discriminazione. Concordano sul fatto che l’educazione deve essere diretta al pieno sviluppo della personalità umana e al senso della sua dignità, e devono rafforzare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali“.
“Le piaceva andare a scuola e stava imparando così tante cose. L’ho incoraggiata a continuare a studiare. È così importante che le figlie abbiano le stesse opportunità educative dei figli maschi. E quando hanno detto che i bambini rohingya non potevano più andare a scuola, è tornata a casa in lacrime“.
Mohamed F. parla di sua figlia Bibi, che è stata espulsa da scuola nel gennaio 2019 a seguito di una direttiva del governo.
Bibi è nata nei campi dopo che i suoi genitori sono fuggiti in Bangladesh nel 1992.
Frequentava la scuola da quando aveva sei anni. Il padre di Bibi ci ha detto che per lui era molto importante che sua figlia potesse frequentare la scuola allo stesso modo dei suoi fratelli.
Bibi ha frequentato una scuola vicino a Nayapara fino a gennaio di quest’anno, quando il governo del Bangladesh ha informato le scuole che nessuno studente rohingya poteva essere iscritto.
A Bibi fu detto che doveva smettere immediatamente di frequentare le lezioni.
“Ho potuto frequentare una scuola del Bangladesh per nove anni. Non c’è stata nessuna forma di discriminazione perché vengo dal Myanmar. Il 30 gennaio, [le autorità del Bangladesh] hanno emesso un avviso secondo cui chiunque arrivi dal Myanmar dovrebbe smettere di frequentare questa scuola. Da allora noi [bambini Rohingya] non andiamo a scuola. Voglio diventare un medico perché voglio aiutare la mia società, il mio paese e la mia gente. Istruzione per tutti, perché non per i rifugiati?“.
Nei campi profughi in Bangladesh, le ragazze affrontano ulteriori ostacoli e sfide a causa delle limitate opportunità di apprendimento disponibili.
Nascere donna ed essere di origine rohingya significa essere destinata a una vita fatta di privazioni e discriminazioni di natura etnica, religiosa e sessuale.
Una ragazza di 12 anni ci ha raccontato che suo padre le ha detto che una volta avute le mestruazioni, avrebbe dovuto smettere di frequentare i centri di apprendimento all’interno dei campi.
Sua sorella, di 11 anni, continua a frequentare i centri di apprendimento per alcune ore al giorno.
Abbiamo intervistato diversi genitori determinati a garantire alle loro figlie la possibilità di frequentare la scuola. Sono consapevoli del fatto che offrire alle ragazze un uguale diritto all’istruzione significherebbe dare loro maggiori opportunità.
Alcune ragazze sono state in grado di proseguire gli studi nelle scuole locali per molti anni ed è stato traumatico smettere di frequentare le lezioni all’inizio di quest’anno.
“Adoro la scuola. Mi piacerebbe studiare di più perché chi non è educato al giorno d’oggi non serve a niente. Non voglio essere ignorante, è importante“.