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Due mesi fa, quando il noto avvocato siriano per i diritti umani Anwar al-Bunni ha finito di scontare la condanna a cinque anni di carcere e ha finalmente rimesso piede per le strade di Damasco, ha camminato in un mondo diverso.
A livello personale, l’incubo della sua carcerazione – un prigioniero di coscienza circondato da detenuti condannati per reati penali che viveva nella paura di essere aggredito dagli altri detenuti e dalle guardie carcerarie – era finito. A livello più generale, la protesta popolare esplosa due mesi prima significava che la Siria stessa era cambiata. Lui e gli altri difensori dei diritti umani non si sentivano più soli.
‘In passato, solo pochi avevano il coraggio di chiedere libertà e diritti umani‘- ha riferito ad Amnesty International. ‘Eravamo abituati a sentirci isolati, perché la maggioranza delle persone ci evitava per paura di ritorsioni da parte delle autorità. Dopo il mio rilascio, ho capito che le mie richieste erano diventate quelle di tutto il popolo siriano‘.
Mentre era in carcere, ha anche ricevuto un riconoscimento internazionale, il premio Front Line per i difensori dei diritti umani. Ma questo riconoscimento gli è costato caro sia in patria che all’estero. Anwar al-Bunni ha subito diverse vessazioni, compresi provvedimenti disciplinari dell’ordine degli avvocati di Damasco, e gli è stato proibito di viaggiare all’estero. Nel 2006 è stato arrestato per aver, insieme a circa 300 cittadini siriani e libanesi, sottoscritto una petizione per chiedere la normalizzazione dei rapporti tra Siria e Libano. Dal 2007 è stato in prigione per cinque anni, perché accusato di ‘diffusione di informazioni false lesive dello stato’ dopo aver parlato del caso di un detenuto morto in carcere a seguito di tortura e altri maltrattamenti.
Invece di essere detenuto con altri prigionieri di coscienza, Anwar al-Bunni ha scontato tutta la sua pena nella cosiddetta ‘Ala dell’assassino’ del carcere di Adra. Ha condiviso una cella sovraffollata con detenuti condannati per reati penali, alcuni dei quali condannati a morte, e con la costante minaccia di violenza.
‘Ho trascorso la maggior parte della mia condanna in uno stato di costante preoccupazione per i possibili attacchi di altri prigionieri, soprattutto perché avevo già subito aggressioni e proprio su istigazione dell’amministrazione carceraria‘. Le guardie lo hanno picchiato e umiliato, radendogli il capo e facendolo strisciare a quattro zampe.
Ma Anwar al-Bunni non si è fatto scoraggiare. Tornato in libertà, ha ripreso il suo lavoro rappresentando legalmente manifestanti arrestati, scrivendo articoli sulle possibili riforme del sistema politico siriano e portando avanti inchieste sulle violazioni dei diritti umani commessi contro alcune delle migliaia di concittadini arrestati dopo le recenti manifestazioni. ‘Molti sono detenuti in condizioni disumane e la tortura è molto diffusa’. Recentemente ha parlato con un prigioniero appena rilasciato, che era stato rinchiuso in una cella di 4 metri con circa 200 persone.
Per quanto riguarda le riforme annunciate dal governo siriano in risposta alle proteste di massa, compresa la revoca dello stato d’emergenza dopo 48 anni, Anwar al-Bunni sostiene che non sono riuscite a portare cambiamenti reali. Al contrario, egli afferma, le autorità hanno introdotto nuove misure per legalizzare gli arresti di massa e per estendere la detenzione in isolamento da un massimo legale di quattro giorni a 60. ‘Dal punto di vista legale’, dice ‘la situazione è peggiorata’.
A livello personale, lui e sua moglie sono tra i molti siriani cui resta vietato recarsi all’estero, nonostante il recente annuncio ufficiale che tali divieti sono stati cancellati. E per i prossimi sette anni non può votare né candidarsi a elezioni; inoltre non può lavorare nel settore statale né pubblicare o redigere alcuna pubblicazione.
Ma per Anwar al-Bunni, la risposta che ha ricevuto dai suoi colleghi siriani rende tutto ciò utile. ‘A differenza di prima, le persone ora esprimono apertamente la loro solidarietà nei miei confronti e il loro rispetto per tutto ciò che ho fatto. Sentire di aver effettivamente dato qualcosa agli altri e che questi riconoscono e apprezzano quello che hai fatto è una grande sensazione!‘.
Ha anche ringraziato Amnesty International per il sostegno ricevuto nei giorni bui della prigionia. Non ha ricevuto personalmente le lettere a lui inviate dall’organizzazione, ma lo ha saputo dalla moglie. ‘Vi ringrazio molto e considero come se le avessi ricevute di persona‘.