Legge sul reato di tortura: arriva l’approvazione definitiva

5 Luglio 2017

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Il reato di tortura è stato introdotto con quasi 30 anni di ritardo nel codice penale italiano.

Non è una buona legge – ha commentato il presidente Antonio Marchesi subito dopo l’approvazione definitiva della legge, avvenuta alla Camera dei deputati il 5 luglio -. È carente sotto il profilo della prescrizione. Inoltre, la definizione della fattispecie è confusa e restrittiva, scritta con la preoccupazione di escludere anziché di includere in sé tutte le forme della tortura contemporanea”.

L’introduzione del reato di tortura in Italia

Nel 1977, con la Conferenza di Stoccolma, abbiamo lanciato la nostra prima campagna mondiale contro la tortura.

Negli anni ottanta, rappresentanti di Amnesty International guidati da Nigel Rodley (all’epoca legal advisor dell’associazione, in seguito Special rapporteur delle Nazioni Unite contro la tortura e presidente del Comitato Onu dei diritti umani), hanno dato un importante contributo all’elaborazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e i trattamenti e le punizioni crudeli inumani o degradanti, approvata dall’Assemblea generale nel 1984.

In questi trent’anni il nostro impegno affinché l’Italia adempisse agli impegni presi dalla Convenzione si è fatto sempre più pressante.

Dalla fine degli anni novanta, insieme ad Antigone e ad altre organizzazioni della società civile, abbiamo intensificato gli sforzi per ottenere l’introduzione del reato di tortura in Italia, attraverso lettere, incontri pubblici, audizioni, convegni, mobilitazioni e dichiarazioni.

Legge sulla tortura: “un passo incompleto”

(La legge sulla tortura) Permette tuttavia di compiere un passo avanti, anche se incompleto, verso l’attuazione dell’obbligo di punire la tortura imposto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 – ha aggiunto Marchesi –Nella misura in cui pone fine alla rimozione della tortura, alla sua indicibilità, la legge permette di superare quella situazione di grave inadempimento per cui i giudici italiani erano costretti a mascherare una delle più gravi violazioni dei diritti umani da reato banale, a volte da mero abuso d’ufficio, con la conseguenza di punirla in modo lieve o di non punirla affatto per effetto della prescrizione”.

“Se la definizione accolta non può soddisfare – ha concluso il presidente di Amnesty International Italia –, l’ipotesi di rinviare per l’ennesima volta, nella vaga speranza che un nuovo parlamento sapesse fare ciò che nessuno dei cinque precedenti aveva fatto, sarebbe servita solo a chi – e sono ancora in molti – il reato di tortura non lo ha mai voluto, senza se e senza ma e in qualsiasi modo definito, considerandolo contrario agli interessi delle forze di polizia”.