Legge sulla tortura, il commento del direttore Gianni Rufini

7 Luglio 2017

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Da oggi, l’Italia è un paese più civile. Da oggi, una persona che si trovi, inerme, nelle mani dello Stato, delle sue forze di sicurezza, non può essere sottoposta a violenze e sevizie, non può essere picchiata o maltrattata, non può essere tormentata, privata del sonno, del cibo e dell’acqua … perché i responsabili verrebbero processati per tortura. Il padre il cui figlio sia stato fermato o arrestato, saprà che la sua incolumità è protetta più e meglio che in passato. Siamo fiduciosi del fatto che non ci sarà una nuova Diaz.

Dopo trent’anni di battaglie della società civile, l’Italia ha inserito nel Codice penale il crimine di tortura. Lo dobbiamo alle migliaia di cittadini che sono state al nostro fianco in questi anni difficili e faticosi.

Non è la legge che volevamo, non è ben scritta e lascia ancora delle scappatoie per i responsabili di questi delitti, e la nostra lotta affinché l’Italia si adegui pienamente agli standard internazionali continuerà fino in fondo. Ma è una legge. Ed è anche l’avvio di un cambiamento culturale e morale molto importante. Che rompe quel fronte di omertà e complicità che ha permesso che finora questi crimini restassero impuniti, e che si è opposto con tutte le forze a questa legge. Un cambiamento volto a garantire che le forze di polizia lavorino sempre in difesa dei diritti dei cittadini e, mai e poi mai, violandoli.

C’è ancora tantissimo da fare. Ma se da oggi siamo un paese più civile lo dobbiamo anche a  tutte quelle persone che con il loro sostegno ci permettono di continuare a lottare ogni giorno in difesa dei diritti umani, i diritti di tutti noi. Grazie.

Gianni Rufini, direttore di Amnesty International Italia