Legittima difesa: una riforma ingannevole e pericolosa

14 Novembre 2019

© Denniro

Tempo di lettura stimato: 8'

di Giorgio Beretta, Osservatorio permanente sulle armi leggere. Articolo pubblicato su IAmnesty. Per sfogliare il nostro trimestrale clicca qui.

Lo scorso 28 marzo, il senato ha approvato in via definitiva le modifiche alla legge sulla “legittima difesa” (codice penale, artt. 52 e 55 e correlati). Le modifiche nascono dall’intento di trasformare in legge uno slogan di forte impatto sociale, tenacemente propagandato da alcune forze politiche: “la difesa è sempre legittima“.

La nuova norma (Legge 26 aprile 2019, n. 36) riconosce “sempre proporzionale”, e quindi non punibile, l’atto di colui che è “stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta“. Non solo: la nuova norma ritiene “sempre in stato di legittima difesa” anche “colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone“.

Tutto questo porterebbe a pensare che la difesa in casa o in un esercizio commerciale sia diventata “sempre legittima“. Qui sta il primo e maggiore inganno. La nuova legge, infatti, non ha reso “sempre legittima” la difesa, bensì stabilisce solo che “sussiste sempre il rapporto di proporzione” tra l’offesa e la difesa. Ma, per valutare se la difesa è legittima, devono esserci altre due condizioni che non sono state modificate: la “necessità di difendersi” e “il pericolo attuale“. In altre parole, anche con la nuova legge, la legittima difesa non è diventata un diritto ma è rimasta una scriminante, un elemento che costituisce motivo di non punibilità a fronte di un omicidio. E resta tale anche a fronte della modifica dell’art. 55 del codice penale (eccesso colposo), che ha introdotto l’esclusione di punibilità anche per chi, per salvaguardare la propria o l’altrui incolumità, ha agito “in condizioni di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto“.

Occorre pertanto ribadire che nessuno, anche con la nuova legge, è legittimato a uccidere un aggressore che recede e men che meno a sparare alle spalle a un ladro in fuga.

La nuova legge ha mantenuto invariata anche un’altra condizione: l’utilizzo per legittima difesa di “un’arma legittimamente detenuta“. Affermare, perciò, che la nuova norma non riguarda l’uso delle armi è una falsità. La legge non modifica le norme per la detenzione di armi.

Ma è proprio qui il problema, per due ragioni. Innanzitutto, perché è facile ottenere una licenza per detenere armi (più facile che ottenere la patente di guida). In secondo luogo, perché in Italia ci sono più omicidi con armi legalmente detenute che per “furti e rapine”.

Ciò significa che se c’è un’arma in casa è molto più facile che venga utilizzata per ammazzare un familiare (molto spesso la moglie o la compagna), un parente o un vicino fastidioso, che non per fronteggiare eventuali ladri.

I dati sono eloquenti. L’Istat riporta che nel 2017 ci sono stati “16 omicidi volontari consumati a scopo di furto o rapina” mentre, sempre nel 2017, l’Osservatorio Opal ha registrato 42 omicidi commessi da legali detentori di armi o con armi da loro detenute. Nel 2018 sono stati addirittura 52, in più di 30 casi le vittime erano donne. In altre parole, gli omicidi compiuti con armi legalmente detenute superano ampiamente quelli commessi da malviventi per furti e rapine.

Non solo. Un recente rapporto dell’Istituto di ricerche economiche e sociali Eures sugli omicidi in famiglia documenta che negli ultimi 20 anni la maggior parte degli omicidi familiari è stata compiuta con armi da fuoco. Di più: nel 2018 in almeno 42 casi (il 64,6 per cento) degli omicidi familiari, l’assassino risultava in possesso di un regolare porto d’armi (di cui in 10 casi per motivi di lavoro), mentre nei restanti 23 casi, l’arma non risultava regolarmente detenuta.

Ciò significa che oggi le armi legalmente detenute nelle case degli italiani ammazzano di più della mafia (38 omicidi nel 2018).

Il rapporto Eures documenta inoltre che da diversi anni l’ambito familiare e di prossimità rappresentano il luogo di maggior rischio per l’incolumità e la vita delle persone, in particolare delle donne.

Tra il 2000 e il 2018, hanno trovato la morte nell’ambito familiare 2265 donne, i tre quarti delle vittime femminili di omicidio. Nel 2018, ben l’83,4 per cento delle 130 donne assassinate in Italia è stata uccisa da un familiare, da un partner o ex partner.

La famiglia è dunque un luogo pericoloso. A fronte di un consistente calo dagli anni Novanta degli omicidi compiuti dalla criminalità organizzata e comune, quelli in famiglia sono rimasti sostanzialmente stabili. Ciò significa che, mentre gli omicidi della criminalità, mafiosa e comune, si possono ridurre con adeguate misure di prevenzione e controllo, è molto più difficile ridurre la piaga degli omicidi familiari: dipendono soprattutto da una cultura patriarcale che vede la donna e i figli come una proprietà insindacabile.

Tutto questo rende urgenti non solo controlli più accurati sui legali detentori di armi, in particolare in presenza di situazioni stressanti (separazioni, depressione, malattie croniche, anzianità, ecc.), ma soprattutto rende urgente un’ampia revisione delle norme per le licenze.

Contrariamente a quanto si crede, è troppo facile ottenere una licenza per armi. È sufficiente essere incensurati, non soffrire di problemi psichici, non avere dipendenze croniche per droghe o alcool, fare una visita all’Asl (che non comporta esami tossicologici e psichici) e superare una prova di maneggio delle armi.

Nonostante la pericolosità che rappresentano, non si hanno dati dal Viminale sul numero di armi legalmente detenute né sul numero complessivo delle licenze. Si sa che ci sono poco più di 700.000 licenze per “uso venatorio” e circa 600.000 per “uso sportivo” ma gli iscritti alle varie federazioni nazionali sportive non superano i 150.000. Ciò significa che l’uso sportivo rappresenta spesso un pretesto per poter detenere armi in casa.

È pertanto necessaria una riforma delle norme sulle licenze, oltre all’introduzione di una licenza “per difesa abitativa”, da rilasciare su motivata ragione e solo con precisi esami clinici e tossicologici annuali. Le armi e munizioni previste in questo caso dovrebbero essere di tipo non letale per evitare che, invece che per dissuadere eventuali ladri, vengano usate per ammazzare un famigliare, un vicino, un parente o per suicidarsi.

Un fatto è certo: oggi le armi nelle case degli italiani non favoriscono la sicurezza. Sono armi detenute col pretesto della legittima difesa ma sono lo strumento più usato per l’illegittima offesa.