Lettera da una prigione egiziana, nel quinto anniversario della ‘rivoluzione del 25 gennaio’

24 Gennaio 2016

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Mahienour El-Massry, avvocata per i diritti umani, è in carcere in Egitto per aver organizzato manifestazioni pacifiche, promosso azioni a sostegno dei prigionieri politici e denunciato attraverso i social media le violazioni dei diritti umani. Dal carcere ha scritto questa lettera, in occasione del quinto anniversario della ‘rivoluzione del 25 gennaio’ 2011 che depose il presidente Hosni Mubarak.

‘Oggi è il quinto anniversario della Rivoluzione. Stento a credere che siano passati cinque anni da quei cori ‘Il popolo vuole far cadere il sistema’ e ‘Pane, libertà, giustizia sociale, dignità umana’. Forse è perché persino in questa cella sogno costantemente la libertà e sono piena di speranza.

Alcuni sostengono che, dopo tutti questi anni, la rivoluzione sia stata sconfitta. Altri affermano che non avrebbe potuto esserci niente di meglio di quanto successe allora. Il regime, invece, è sicuro di aver vinto. Ma siamo sicuri che questa sia la versione corretta e definitiva? Che noi siamo stati sconfitti e la rivoluzione è finita? Non siamo mai stati altro che ‘vittime’?

Io sono tra coloro che credono ai sogni, tra coloro che sanno bene che non dobbiamo fare i conti soltanto con l’autoritarismo interno e la tirannia ma anche con un sistema internazionale inumano, in cui le persone non valgono niente rispetto al profitto e al petrolio.

Penso che stiamo ancora compiendo il cammino verso una società umana e giusta. Ogni tanto facciamo errori, ogni tanto veniamo sconfitti. A volte siamo arroganti, altre volte privi di speranza, ma siamo sempre lì a combattere. Tuttavia, fatemi aggiungere che l’autocelebrazione è la voce degli stupidi così come piangere sulle proprie macerie è la voce della codardia e della disperazione.

Ci sono lezioni per tutti, lezioni che abbiamo appreso dal sangue versato per noi…

La prima è che non c’è salvezza individuale e che la disperazione e i tentativi di fuga non ci aiuteranno a rendere i nostri giorni migliori. Quando ci limitiamo a concentrarci su noi stessi e a chiedere libertà solo per coloro che conosciamo, senza muovere un dito in favore della libertà per tutto il popolo (ad esempio, in prigione non ci sono solo migliaia di detenuti politici innocenti, ma anche migliaia di cittadini rimasti incastrati in qualche macchinazione, sopraffatti dai debiti o condannati al posto di qualcun altro), se in definitiva permetteremo al regime di toglierci dalle strade e allontanarci dai nostri obiettivi, allora avremo perso l’ultima partita.

Seconda lezione: siamo stati schiacciati quando ci siamo girati dall’altra parte mentre altri venivano schiacciati. La rivoluzione è per sua natura umana e deve opporsi a ogni ingiustizia, persino quando si abbatta su coloro che si oppongono alle nostre idee e cercano di annientarci. Accettare l’ingiustizia nei confronti di una persona significa che l’ingiustizia prima o poi colpirà tutti noi.

Terza lezione: non dobbiamo sentirci soddisfatti perché abbiamo avuto l’onore di provarci. Non dobbiamo continuare a girare a vuoto. Dobbiamo formulare gli obiettivi della rivoluzione, tradurli in movimenti e iniziative e cominciare a organizzarci. Se gli interessi della controrivoluzione uniscono il regime, allora l’istinto di sopravvivenza deve unire noi, quelli che credono nella libertà e quelli che sono contrari a ogni forma di autoritarismo e di arretramento.

Quarta lezione: un regime spaventato arresta migliaia di persone e cancella le elezioni (quelle per il sindacato degli studenti, per esempio). Trema al pensiero di un anniversario, nonostante compia ingiustizie per un anno intero. Equipara coloro che lottano per la vita a coloro che vogliono la morte. L’oppressione rafforza i sentimenti di ingiustizia e questi rafforzano la resistenza. Il popolo che si mobilitò per due giorni, il 18 e il 19 gennaio 1977, senza toccare i capi del regime ha imparato la lezione e nel 2011 li ha deposti. Ma l’opera non è stata ancora completata…

Quinta lezione: la rivoluzione è sempre in corso così come lo sono la vita e i sogni. Non si ferma per una persona e prima o poi, nelle nostre vite e in quelle di chi verrà dopo di noi, si completerà. Perché il popolo merita le cose belle e la bruttezza, non importa quante volte cerchi di mascherarsi, alla fine rivelerà il suo volto.

Shaimaa… Nel primo anniversario, saluta i nostri angeli, i nostri martiri. Dì loro che siamo ancora pieni di speranza e che la prigione e l’ingiustizia non fanno altro che aumentare il nostro attaccamento ai sogni e alla rivoluzione’.

Nota del traduttore: Shaimaa al-Sabbagh, attivista dei ‘Socialisti rivoluzionari’, uccisa da un agente di polizia al Cairo, il 24 gennaio 2015, mentre prendeva parte a un corteo pacifico che cercava di portare fiori a piazza Tahrir per commemorare i morti della ‘rivoluzione del 25 gennaio’.