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A un anno dalla devastante esplosione di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio nel porto di Beirut, che il 4 agosto 2020 provocò 217 morti, oltre 7000 feriti, 300.000 sfollati e devastazioni fino a 20 chilometri di distanza, le autorità libanesi continuano vergognosamente a ostruire le richieste di verità e giustizia.
Per tutto questo periodo esse hanno costantemente ostacolato le indagini in modo da tenere al riparo i sospetti: hanno fatto rimuovere il primo magistrato dopo che aveva chiesto d’interrogare esponenti politici di primo piano e hanno finora respinto le richieste del secondo di rimuovere l’immunità parlamentare e interrogare funzionari delle forze di sicurezza.
“Se permetteranno a un crimine del genere di restare impunito, le autorità libanesi passeranno alla storia nel modo più orrendo”, ha dichiarato Mirelle Khoury, che nell’esplosione perse il figlio Elias, di 15 anni.
Come è emerso da documenti divenuti pubblici, nei precedenti sei anni le autorità della dogana, l’esercito, le forze di sicurezza e la magistratura avevano messo in guardia, in almeno 10 occasioni, i governi sui rischi legati alla presenza di sostanze chimiche esplosiva nel porto di Beirut. Ne era al corrente anche il presidente libanese, che però ha dichiarato di aver “lasciato che se occupassero le autorità portuali”.
L’immunità, una prerogativa che per decenni ha fatto sì che gravi crimini di diritto internazionale restassero impuniti, è stata invocata da numerose persone indagate per “negligenza” e convocate per interrogatori da Fadi Sawan, il primo magistrato cui era stato affidato il caso: l’ex ministro delle Finanze Ali Hassan Khalil, gli ex ministri dei lavori pubblici Youssef Femianos e Ghazi Zeaiter e il primo ministro pro-tempore Hassan Diab.
La reazione degli indagati è stata tale che il 18 febbraio 2021 la Corte di cassazione ha sollevato Fadi Sawan dall’incarico.
Il 2 luglio il nuovo magistrato Tarek Bitar ha chiesto al parlamento di sospendere l’immunità per Ali Hassan Khalil, Ghazi Zeaiter e Nouhad Machnouk.
In risposta, 26 parlamentari del blocco del presidente del parlamento Nabih Berri – composto da Hezbollah, Amal e Futuro – hanno promosso una petizione per avviare un’indagine parallela. Di fronte alla reazione scandalizzata dell’opinione pubblica, sei di loro hanno poi ritirato la firma.
Contemporaneamente il ministero dell’Interno respingeva la richiesta di Tarek Bihar d’interrogare il capo della Sicurezza generale, Abbas Ibrahim, uno dei militari più influenti del Libano. Bihar ha fatto ricorso.
Amnesty International continua a sostenere la richiesta di un meccanismo d’indagine internazionale quale ad esempio una missione di accertamento dei fatti della durata di un anno. Questa richiesta è stata ribadita al Consiglio Onu dei diritti umani a giugno insieme a una coalizione di oltre 50 organizzazioni per i diritti umani libanesi e internazionali.