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La notte tra l’11 e il 12 agosto le forze di sicurezza libanesi, insieme alla polizia di guardia al parlamento e a civili non identificati muniti di bastoni, hanno attaccato un sit-in organizzato dai familiari delle vittime della strage del porto di Beirut in occasione di un’importante sessione parlamentare sul futuro delle indagini.
Diverse persone sono state ferite, tra cui due giornalisti che hanno dovuto ricorrere a cure ospedaliere.
“Le immagini dei corpi insanguinati e a terra dei parenti delle vittime e dei giornalisti che venivano portati di corsa in ospedale al termine di un sit-in del tutto pacifico, non avrebbero potuto mandare un segnale più chiaro su quanto le autorità libanesi intendano vergognosamente e ferocemente ostacolare il corso della giustizia”, ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
Il parlamento si apprestava a discutere una risoluzione per affidare a un consiglio speciale il proseguimento delle indagini su funzionari di alto livello dello stato libanese: una mossa, anche questa, destinata volutamente a ritardare le indagini dato che tale consiglio speciale, di cui si parla da decenni, non è mai stato costituito. Il 2 luglio il nuovo magistrato Tarek Bitar aveva chiesto al parlamento di sospendere l’immunità per l’ex ministro delle Finanze Ali Hassan Khalil, per l’ex ministro dei Lavori pubblici Ghazi Zeaiter e per l’ex ministro dell’Interno Nouhad Machnouk.
La seduta è stata comunque annullata per mancanza del numero legale: molti parlamentari hanno aderito all’appello dei familiari a boicottarla.
Hussam Chebaro, un fotogiornalista del quotidiano “Annarah”, stava per andare via in anticipo, dato che la situazione era del tutto tranquilla, quando improvvisamente ha udito un fracasso e ha visto una decina di persone vestite di nero muoversi da dietro il posto di blocco delle forze di sicurezza e correre verso i manifestanti:
“Ci hanno preso a bastonate, tutti indistintamente: giornalisti, donne, anziani, bambini. Mi hanno colpito alla schiena, al collo, sulle spalle e in pieno volto. Mi hanno rubato la macchina fotografica e il motorino. Poi sono stato portato all’ospedale dove, per miracolo, hanno visto che non avevo nulla di rotto, solo ematomi ovunque”.
Questa è la testimonianza di una parente di una delle vittime della strage del porto di Beirut:
“Senza alcuna ragione, all’improvviso, cinque o sei uomini vestiti di nero sono corsi verso di noi e hanno iniziato a bastonarci tutti. Sono dei mostri”.
Al giornalista freelance Zakariya Jaber è stato rotto un dito da un gruppo di simpatizzanti del presidente del parlamento, Nabih Berri.
“Ormai è la norma picchiare i giornalisti durante le proteste. Vogliono impedirci di documentare le loro brutalità”, ha dichiarato.
Hussein Baydoun, un altro fotogiornalista di Al Araby Al Jadeed, ha udito chiaramente gli aggressori urlare “Come ti permetti di offendere Nabih Berri?”. Durante la fuga gli sono stati lanciati dei bastoni addosso. Le forze di sicurezza, ha notato, erano presenti in buon numero ma non hanno fatto nulla.
Ulteriori informazioni
Quella di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio, avvenuta il 4 agosto 2020 nel porto di Beirut, è stata una delle più grandi esplosioni non nucleari della storia. Ha causato 217 morti (tra cui tre bambini di età compresa tra due e 15 anni) e 7000 feriti (150 dei quali ora con disabilità permanente), ha danneggiato 77.000 appartamenti e ha costretto a sfollare oltre 300.000 persone.