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Patrick George Zaki è un ricercatore e attivista egiziano di 27 anni. Nella notte tra il 6 e il 7 febbraio è partito da Bologna, dove frequenta il master “Gemma” dell’Erasmus Mundus in studi di genere, per andare in vacanza nella sua città natale, Mansoura, in Egitto. Ma all’arrivo all’aeroporto del Cairo, alle 4.30 del mattino, la sua vita è cambiata. Funzionari dell’immigrazione lo hanno trattenuto e gli agenti dell’Agenzia di sicurezza nazionale lo hanno bendato, ammanettato e interrogato per 17 ore. Patrick è stato picchiato e torturato con scosse elettriche. L’obiettivo era estorcere informazioni sul suo impegno per i diritti umani e sulla sua residenza in Italia.
Di lui non si è saputo più nulla per 24 ore, fino a che è ricomparso negli uffici della procura di Mansoura, che ha disposto 15 giorni di detenzione preventiva, poi rinnovati il 22 febbraio.
Subito è scattata la mobilitazione in Italia e Amnesty International si è attivata immediatamente per chiedere il suo rilascio, mobilitare l’opinione pubblica e fare pressioni sul governo italiano affinché si adoperi sul caso.
Zaki non è un pericoloso criminale, è stato incarcerato per il suo impegno a favore dei diritti delle minoranze oppresse nel suo paese e della comunità Lgbti, per la sua collaborazione con l’Ong Iniziativa egiziana per i diritti della persona. Le accuse contro di lui, tra cui “diffusione di notizie false”, “incitamento alla protesta” e “istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”, fanno riferimento a 10 post pubblicati su Facebook.