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Amnesty International ha chiesto al Consiglio nazionale di transizione (Cnt) della Libia di mettere immediatamente in sicurezza la fossa comune scoperta nei pressi della prigione di Abu Salim, in modo da proteggere le prove e assicurare l’accurata identificazione dei cadaveri, che potrebbero essere quelli dei prigionieri massacrati nel 1996.
Domenica 25 settembre il Cnt, annunciando la scoperta della fossa comune, aveva chiesto assistenza dall’estero per compiere le esumazioni e i test del Dna. Nella stessa giornata, le immagini diffuse dai mezzi d’informazione mostravano parenti delle vittime del 1996 e altre persone dissotterrare vestiti e frammenti ossei.
‘Queste famiglie aspettano da 15 anni di conoscere la verità e ottenere giustizia’ – ha dichiarato Claudio Cordone, senior director di Amnesty International. ‘Il Cnt e gli esperti devono trattare le prove e i resti rinvenuti in questo sito con la massima delicatezza’.
‘Il massacro della prigione di Abu Salim è stato uno dei più infamanti episodi dell’era Gheddafi. Comprendiamo il dolore e la disperazione dei familiari che pensano che nella fossa comune si trovino i resti dei loro congiunti uccisi nel 1996. Ma se le esumazioni verranno effettuate da personale non adeguatamente qualificato o equipaggiato, ne deriveranno altri ostacoli al diritto delle vittime e dei loro familiari alla verità e alla giustizia’ – ha proseguito Cordone.
Per anni, i familiari dei prigionieri uccisi ad Abu Salim hanno chiesto al governo di Gheddafi di conoscere la verità, senza esito.
Amnesty International sollecita ora il Cnt ad assicurare che nessuna esumazione o identificazione dei resti si svolga in assenza di esperti di medicina legale e senza seguire i protocolli internazionali.
Si stima che oltre 1200 prigionieri vennero uccisi ad Abu Salim nel giugno 1996. Una rivolta scoppiata per protestare contro le spaventose condizioni di detenzione venne sedata a colpi di arma da fuoco sparati a casaccio. La direzione del carcere accettò di incontrare i rappresentanti dei prigionieri e promise che alcune loro richieste sarebbero state accolte. La mattina dopo, i prigionieri vennero radunati nei cortili della prigione e uccisi.
‘L’ostinazione dei parenti delle vittime di Abu Salim nel pretendere verità e giustizia, sfidando repressione e intimidazioni, ha contribuito decisamente ad abbattere il muro di silenzio e alla rivoluzione del 17 febbraio’ – ha ricordato Cordone.
I parenti delle vittime di Abu Salim furono i primi a protestare nelle strade di Bengasi, a febbraio, contro l’arresto di due esponenti del Comitato dei familiari delle vittime di Abu Salim.