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Amnesty International ha lanciato un’azione urgente chiedendo al governo della Libia di non rimpatriare in Eritrea un gruppo di oltre 200 eritrei che si trovano attualmente nel centro di detenzione di Sabha, nel sud della Libia, in condizioni drammatiche. Se rinviate in Eritrea, queste persone rischiano di subire la tortura, punizione riservata ai colpevoli di ‘tradimento’ e diserzione.
Secondo informazioni ricevute da Amnesty International, all’alba del 30 giugno un centinaia di soldati e poliziotti libici, pesantemente armati, hanno fatto irruzione nel centro di detenzione di Misratah, situato nel nord del paese. Dopo aver effettuato un pestaggio, che ha costretto al ricovero 14 detenuti, i funzionari libici hanno caricato oltre 200 eritrei su due container e li hanno trasportati a Sabha.
Nelle settimane precedenti, ai migranti eritrei detenuti a Misratah era stato chiesto di compilare un formulario concernente dati biografici, data di partenza dall’Eritrea, lunghezza della permanenza in Libia e l’eventuale desiderio di rientrare nel paese. Quest’ultima domanda aveva messo in allarme molti dei migranti che, temendo che tali informazioni sarebbero state trasmesse alle autorità eritree in vista del rimpatrio, avevano rifiutato di riempire il modulo.
Le condizioni del centro di detenzione di Sabha sono drammatiche: oltre al sovraffollamento, l’acqua e il cibo sono insufficienti e i servizi igienici inadeguati.
Amnesty International ha pertanto sollecitato il governo della Libia a non rinviare forzatamente in Eritrea gli oltre 200 cittadini eritrei, rispettando in questo modo il principio internazionale del ‘non respingimento’ verso paesi in cui una persona potrebbe essere a rischio di subire tortura o altre forme di maltrattamento o dove ‘la sua vita, l’integrità fisica e la libertà personale potrebbero essere minacciate’.
L’organizzazione per i diritti umani ha anche chiesto alle autorità di Tripoli di fornire acqua, cibo e servizi igienici adeguati, nonché cure mediche ai detenuti che ne necessitino.
Ulteriori informazioni
Il 23 giugno Amnesty International ha diffuso un nuovo rapporto sulla situazione dei diritti umani in Libia. Il rapporto denuncia il ricorso alle frustate per punire le adultere, la detenzione a tempo indeterminato e le violenze nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati così come i casi irrisolti di sparizioni forzate di dissidenti. Di fronte a tutto questo, le forze di sicurezza restano immuni dalle conseguenze delle loro azioni.
Il rapporto fa anche riferimento all’accordo di Amicizia, partenariato e cooperazione concluso nell’agosto 2008 tra Italia e Libia e agli accordi tecnici di dicembre 2007 sul pattugliamento marittimo congiunto per mezzo di navi della Guardia di Finanza fornite dall’Italia.
A seguito dell’accordo, a partire dal maggio 2009, le autorità italiane hanno trasferito in Libia migranti e richiedenti asilo intercettati in mare. La Libia non è parte della Convenzione sui rifugiati del 1951 e non ha una procedura di asilo, circostanza che ostacola la possibilità di ricevere protezione internazionale nel paese. Secondo i dati del governo italiano, tra maggio e settembre del 2009, 834 persone intercettate o soccorse in mare sono state portate in Libia. Lo stesso governo italiano ha comunicato al Comitato europeo contro la tortura che tra le persone ‘riconsegnate’ alla Libia vi erano decine di donne, almeno una delle quali in stato di gravidanza, e diversi minori.
Scarica il rapporto in inglese ‘Libya_of_tomorrow_What_hope_for_human_rights’
FINE DEL COMUNICATO Roma, 5 luglio 2010
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