Limitare il massacro di civili causato dall’uso di armi esplosive su aree popolate

4 Marzo 2021

Tempo di lettura stimato: 9'

Le consultazioni virtuali di questa settimana rendono più vicino un accordo diplomatico per la protezione dei civili

Amnesty International ha documentato il tremendo impatto delle armi esplosive sui civili in numerosi conflitti

• Le modifiche essenziali necessarie secondo la società civile

Amnesty International ha chiesto agli stati che si riuniscono questa settimana un accordo politico forte e innovativo per contribuire alla riduzione del numero delle vittime civili delle armi esplosive durante i conflitti armati.

Le consultazioni virtuali ospitate dal governo irlandese dal 3 al 5 marzo contribuiranno alla definizione di “una dichiarazione politica volta a garantire la protezione dei civili dai danni umanitari che derivano dall’utilizzo di armi esplosive in aree popolate”. Il testo che sarà concordato al termine delle consultazioni sarà aperto alla firma in una conferenza diplomatica di alto livello in programma nei prossimi mesi.

È ora che gli stati si impegnino ad abbandonare l’uso, in aree civili popolate, di armi esplosive progettate decenni fa per battaglie in campo aperto: artiglieria, razzi e pesanti bombe aeree”, ha dichiarato Donatella Rovera, alta consulente di Amnesty International per le risposte alle crisi.

L’utilizzo di queste armi esplosive con effetti a largo raggio su città e paesi pieni di civili ha conseguenze prevedibilmente indiscriminate e, per questo motivo, è vietata dal diritto umanitario internazionale, conosciuto anche come leggi di guerra”, ha aggiunto Rovera.

Una guerra urbana

Nel 21esimo secolo le aree urbane sono sempre più spesso teatro di combattimenti delle guerre, che causano indicibili sofferenze per i civili intrappolati sotto bombardamenti incessanti di armi esplosive sganciate da aerei o da lanciatori terrestri.

Bombardare da lontano aree popolate con una raffica dopo l’altra spesso fa sì che le abitazioni e le infrastrutture civili siano rase al suolo da munizioni imprecise o eccessivamente distruttive, che causano danni ingenti ben oltre gli obiettivi designati.

È come se utilizzassimo un martello pneumatico per fissare una puntina da disegno, con conseguenze devastanti per le vite e i mezzi di sostentamento civili. Per proteggere i civili, è essenziale che la dichiarazione politica contenga un chiaro impegno da parte degli stati a evitare l’utilizzo di armi esplosive con effetti a largo raggio su aree civili popolate”, ha commentato Donatella Rovera.

Negli ultimi anni, i ricercatori di Amnesty International hanno trascorso mesi sul campo, in zone di guerra dove hanno potuto assistere direttamente all’impatto delle armi esplosive con effetti a largo raggio sui civili. Tra questi:

In questi casi, l’organizzazione ha documentato come le forze militari abbiamo utilizzato armi esplosive inappropriate all’obiettivo militare, perché dotate di una carica esplosiva troppo grande, e quindi causa di un’area di deflagrazione e frammentazione troppo ampia, e troppo imprecise, perché rilasciano munizioni multiple e bombardano a tappeto la zona da colpire; oppure che presentano una combinazione di queste caratteristiche. Questi attacchi hanno ucciso e ferito un gran numero di civili, distrutto infrastrutture civili essenziali e costretto alla fuga centinaia di migliaia di persone, rendendole sfollate e rifugiate.

Armi non adatte all’utilizzo in aree civili popolate

Gli attacchi di artiglieria sono attacchi terrestri lanciati da obici che possono trovarsi a oltre 20 chilometri dall’obiettivo designato con un margine di errore fino a 300 metri. Allo stesso modo, gli attacchi con missili non guidati, che utilizzano sistemi come il diffuso Grad da 122mm, mancano notoriamente l’obiettivo, spesso di mezzo chilometro o più.

A causa dell’intrinseca mancanza di precisione di entrambe le tipologie di armi, concepite per attacchi su grandi gruppi di militari all’aperto, questo tipo di bombardamenti è del tutto inadatto ad aree civili edificate. Ancor peggio, razzi e artiglieria sono solitamente sparati in raffiche che, cadendo su interi quartieri, uccidono e feriscono in maniera indiscriminata.

Gli attacchi aerei che utilizzano bombe con grandi cariche esplosive possono essere puntati in maniera più accurata ma contengono quantitativi di esplosivo tali da produrre grandi ondate di deflagrazione, i cui frammenti mortali raggiungono aree fino a un chilometro dal luogo dell’attacco provocando enorme distruzione attorno all’obiettivo e spesso demolendo interi edifici in un attimo, con conseguente morte o ferimento di tutti i civili che si trovano in quell’area.

In base al diritto umanitario internazionale, tutte le parti in guerra hanno l’obbligo di prendere ogni possibile precauzione per risparmiare i civili e garantire che le proprie forze non conducano attacchi diretti indiscriminati o sproporzionati sui civili. Tra questi c’è anche il dovere da parte dei vertici militari di scegliere tipologie di armi e metodologie di attacchi che riducano il rischio di ferire la popolazione civile e distruggere obiettivi civili.

La rete globale chiede un cambiamento

La Rete internazionale sulle armi esplosive (International Network on Explosive Weapons, Inew), formata da decine di Ong fra cui Amnesty International, chiede che dalle consultazioni di questa settimana esca un accordo il più possibile forte.

In particolare, gli stati dovrebbero concordare:

  • un maggiore e più chiaro impegno contro l’utilizzo di armi esplosive con effetti a largo raggio in aree popolate;
  • un chiaro impegno per affrontare l’impatto umanitario a lungo termine in caso di distruzione di infrastrutture, soprattutto per l’interruzione di forniture elettriche e idriche, che a sua volta colpisce gli ospedali, la possibilità di prestare assistenza medica e servizi per la più ampia popolazione civile;
  • il rafforzamento dell’assistenza alle vittime direttamente coinvolte, ai familiari e alle comunità.

La comunità internazionale non deve accettare come normale la devastazione a cui abbiamo assistito nelle città distrutte dalla guerra in Iraq, Siria, Yemen, Gaza e in ogni altro luogo. Nel 21esimo secolo, non ci sono scuse per l’utilizzo casuale di armi esplosive in aree civili. Le forze militari spesso hanno a disposizione armi molto più accurate e precise e ricorrono invece alle opzioni più economiche. Ciò può comportare una riduzione dei costi per le forze in guerra ma, in pratica, sono i civili a pagare il prezzo più alto con la propria vita”, ha proseguito Donatella Rovera.

Gli stati che partecipano ai negoziati questa settimana devono prendere questo messaggio sul serio: può e dovrebbe essere fatto di più per proteggere i civili durante i conflitti armati ed è proprio quanto richiedono le leggi di guerra. Mettere fine all’utilizzo delle armi esplosive con effetti a largo raggio nelle aree popolate sarebbe un primo apprezzabile passo in questa direzione”, ha concluso Rovera.