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Arash Sadeghi, prigioniero di coscienza iraniano condannato nel 2016 a 19 anni di carcere solo a causa delle sue attività in favore dei diritti umani, non sta ricevendo le cure mediche di cui ha disperato bisogno dopo che un mese fa gli è stato diagnosticato un cancro alle ossa.
La direzione della prigione Raja’i Shahr di Karaj, una città a nordovest della capitale Teheran, sta volutamente e ripetutamente impedendo l’accesso di Sadeghi a cure mediche che potrebbero fare la differenza tra la vita e la morte.
“Il trattamento cui le autorità iraniane stanno sottoponendo Sadeghi non solo è incommensurabilmente crudele; in termini giuridici, si chiama tortura. La direzione della prigione, l’ufficio della procura e le Guardia rivoluzionarie stanno facendo di tutto per impedire che riceva cure mediche adeguate per trattare un cancro potenzialmente mortale“, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
“Le autorità iraniane stanno volutamente negando le cure mediche a questo coraggioso difensore dei diritti umani, acuendo la sua sofferenza e ignorando di proposito i pareri dei medici. Come se fosse una punizione supplementare alla condanna, profondamente ingiusta, già inflitta a Sadeghi“, ha aggiunto Luther.
Già alla fine del 2016 a Sadeghi erano state negate cure mediche fondamentali, quando aveva intrapreso uno sciopero della fame a seguito dell’imprigionamento di sua moglie, Golrokh Ebhraimi Iraee, a sua volta difensora dei diritti umani.
L’8 settembre la direzione della prigione Raja’i Shahr è stata contattata diverse volte dall’ospedale Imam Khomeini di Teheran per organizzare il trasferimento di Sadeghi in vista di un intervento chirurgico previsto la settimana successiva. Si sono sentiti rispondere che l’ufficio del procuratore non aveva emesso l’autorizzazione al ricovero.
I medici dell’ospedale avevano chiesto che Sadeghi venisse ricoverato almeno tre giorni prima della data dell’intervento, per effettuare le visite mediche e la preparazione in vista di un’operazione chirurgica invasiva. La direzione del carcere ha deciso di trasferire Sadeghi alla fine dell’11 settembre e in questo modo l’intervento è stato annullato, nonostante i medici avessero avvisato che ogni eventuale ritardo avrebbe messo in pericolo la vita del detenuto.
L’operazione ha avuto luogo il 12 settembre ed è durata diverse ore.
“Dopo un’operazione del genere, Sadeghi aveva bisogno di trascorrere almeno un’ora in sala di rianimazione. Incredibilmente, le forze di sicurezza lo hanno prelevato mentre era ancora sotto anestesia, gli hanno ammanettato insieme mano e gamba sinistra e hanno bloccato l’accesso al suo letto. Nonostante le proteste, i medici non sono stati in grado di fare i normali controlli post-operatori“, ha aggiunto Luther.
“Mettere in pericolo la vita di un paziente ritardando un intervento chirurgico e impedendo i controlli medici è una condotta del tutto inaccettabile. Purtroppo, questo è solo uno dei molti casi documentati da Amnesty International in cui le autorità iraniane hanno intenzionalmente negato cure mediche vitali ai detenuti“, ha sottolineato Luther.
Il 15 settembre Sadeghi è stato riportato nella prigione Raja’i Shahr, di nuovo contro l’espresso e chiaro parere dei medici che avevano chiesto una degenza ospedaliera di almeno 25 giorni in modo da tenere il paziente sotto osservazione da personale medico specializzato che avrebbe potuto valutare la necessità di sottoporlo a chemioterapia, radioterapia o ulteriori interventi chirurgici.
Il 22 settembre Sadeghi aveva un appuntamento col chirurgo che lo aveva operato, il quale aveva specificato di essere disponibile solo la mattina. Tuttavia, dal carcere è stato trasferito solo nel pomeriggio, quando il medico non c’era più.
Allora, Sadeghi è stato visitato da un medico generico che ha comunque riscontrato che la ferita derivante dall’operazione era interessata da un’infezione, aggiungendo che questa situazione sarebbe stata maggiormente evitabile se il paziente fosse stato oggetto di controlli post-operatori in ospedale.
“Non c’è alcun dubbio che le autorità iraniane stiano volutamente mettendo in pericolo la salute e la vita di Sadeghi. A seguito della loro deplorevole negligenza, il braccio destro di Sadeghi è ora oggetto di una grave infezione“, ha commentato Luther.
Sadeghi è in attesa dell’esame della biopsia sui campioni rimossi dalla zona del cancro per valutare se questo si sia diffuso. Ci vorranno altre due settimane al termine delle quali sarà possibile decidere con che trattamento proseguire e se sarà necessario un ulteriore intervento chirurgico.
“Le autorità iraniane devono rilasciare subito e senza alcuna condizione Sadeghi e in attesa del rilascio rispettare e proteggere il suo diritto alla vita e alla libertà dalla tortura, fornendo le migliori cure mediche disponibili e seguendo rigorosamente le indicazioni del team medico curante. L’atroce atteggiamento delle autorità dev’essere oggetto di un’inchiesta indipendente“, ha sottolineato Luther.
Ulteriori informazioni
Sadeghi è in prigione dal giugno 2016 a seguito di due distinte condanne per un totale di 19 anni. Questa punizione è dovuta unicamente alle sue pacifiche attività in favore dei diritti umani, compresi i contatti con Amnesty International e l’invio all’organizzazione di informazioni sulle violazioni dei diritti umani in Iran.
Come “prove” del suo coinvolgimento in “azioni contro la sicurezza nazionale“, nel verdetto sono citate oltre 50 azioni pacifiche in favore dei diritti umani, molte delle quali consistenti nella diffusione di informazioni sulla loro violazione.
Il processo di fronte alla sezione n. 15 del Tribunale rivoluzionario di Teheran in cui sua moglie Golrokh Ebrahimi Iraee era co-imputata, è stato fortemente irregolare: due brevi sessioni nel maggio e nel giugno 2015, ognuna delle quali durata meno di un quarto d’ora, in cui né lui né lei sono stati difesi da un avvocato.
Le condizioni di salute di Sadeghi sono peggiorate dopo che nell’ottobre 2016 ha intrapreso uno sciopero della fame durato 71 giorni.
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