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All’inizio di agosto, nello stato malaysiano di Terengganu, due donne di 22 e 32 anni erano state scoperte nell’automobile di una delle due mentre si apprestavano a fare l’amore.
Il 12 dello stesso mese l’alta corte della shari’a dello stato aveva emesso una sentenza, nelle parole dello stesso giudice, “esemplare”, ossia che sarebbe stata di esempio: sei colpi di scudiscio a testa per il “reato” di “relazione sessuale tra donne“.
La mattina del 3 settembre, in un’aula di tribunale, di fronte ad alcuni parenti delle ree e di funzionari governativi, la sentenza è stata eseguita.
In Malaysia è cambiato il governo ma restano radicate tanto l’approvazione di punizioni che equivalgono alla tortura quanto la discriminazione nei confronti delle persone Lgbti, soprattutto nelle zone del paese dove vengono applicare leggi di derivazione islamica.
Nelle ultime settimane si sono susseguiti attacchi contro persone Lgbti e contro le sedi delle associazioni che difendono i loro diritti.
Sette giorni fa il ministro per gli Affari religiosi del nuovo governo ha dichiarato di non “riconoscere le persone Lgbti” e che, se ciò è stato fatto in passato, lo scopo era unicamente quello di “riabilitarle”: non nella loro reputazione, ovviamente, ma nel loro orientamento sessuale.