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Il 27 settembre il Tribunale penale internazionale ha condannato a nove anni di carcere Ahmad al Faqi al-Mahdi, esponente di primo piano del gruppo armato islamista Ansar Eddine, per aver deliberatamente attaccato siti religiosi e monumenti storici di Timbuktu durante il conflitto del 2012 in Mali.
Al-Mahdi ha ammesso la sua colpevolezza e, come d’accordo se la pena fosse stata compresa tra nove e 11 anni, ha rinunciato a presentare appello.
Secondo Amnesty International, si è trattato di una sentenza importante che riconosce il fatto che gli attacchi a siti religiosi e storici possono distruggere la cultura e l’identità di un popolo e costituiscono pertanto crimini contro l’umanità.
Questo positivo sviluppo non deve far dimenticare, tuttavia, che nel conflitto del 2012 in Mali centinaia di civili sono stati stuprati, torturati e uccisi. Il Tribunale penale internazionale dovrebbe dunque proseguire le sue indagini per sottoporre a processo i responsabili di ulteriori crimini di guerra e contro l’umanità.
Un compito che il governo del Mali, che pure aveva chiesto l’intervento del massimo organo della giustizia internazionale, non pare in grado di svolgere: nel 2015 le autorità hanno rilasciato 200 detenuti, molti dei quali sospettati di aver commesso crimini di diritto internazionale e la Commissione d’inchiesta prevista dall’accordo di pace non è stata neanche istituita.