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Con una lettera aperta, insieme alle altre organizzazioni che compongono il Tavolo Asilo, abbiamo scritto al governo e al parlamento italiano per chiedere di non rinnovare il memorandum di intesa con la Libia.
Il 2 novembre, infatti, è la data ultima per non rinnovare questo accordo, firmato nel 2017 dall’allora premier italiano Paolo Gentiloni e dal capo del governo di Tripoli Al Sarraj, che prevede che l’Italia sostenga economicamente e con il dispiego di risorse la Guardia Costiera libica e i centri di detenzione in Libia.
In base alle prove che abbiamo prodotto in questi anni, il memorandum ignora le violazioni dei diritti umani in corso in Libia.
Nella lettera aperta, i cui contenuti sono stati presentati oggi in una conferenza stampa, abbiamo raccolto tutte le richieste delle associazioni che compongono il Tavolo Asilo.
Il sostegno fornito alla Guardia Costiera libica fa sì che il Governo italiano per lo più non intervenga nei soccorsi in mare dei migranti.
Quando viene segnalata un’imbarcazione in situazione di pericolo, infatti, il Centro nazionale di coordinamento del soccorso in mare (MRCC) di Roma di fatto non assume il coordinamento delle operazioni di salvataggio, dando indicazioni di fare riferimento unicamente alle autorità libiche.
Inoltre, con la modifica unilaterale presentata dal Governo di Al Sarraj lo scorso 9 ottobre, vengono apportate sostanziali modifiche al memorandum che rendono la situazione ancora più preoccupante, quali il coordinamento esclusivo delle operazioni di soccorso da parte delle autorità libiche nell’amplissima area di acque internazionali dichiarata unilateralmente dalla Libia come zona SAR di propria competenza, nonché uno stringente controllo sulle imbarcazioni delle organizzazioni umanitarie che intendono effettuare salvataggi in mare.
Va evidenziato come in numerosi e documentati casi la Guardia costiera libica non abbia risposto alle richieste di soccorso, abbia abbandonato in mare persone ancora in vita o sia intervenuta esercitando violenze sui naufraghi o addirittura causando incidenti mortali: nel caso più drammatico, verificatosi il 6 novembre 2017, si stima che più di 50 persone siano annegate in quella che avrebbe dovuto essere un’operazione di soccorso, mentre il 20 settembre di quest’anno un ufficiale della Guardia costiera libica ha sparato e ucciso un cittadino sudanese che si opponeva al rientro in Libia.
Risultato delle politiche adottate è un forte aumento del tasso di mortalità nel Mediterraneo centrale, che rappresenta attualmente la rotta più pericolosa al mondo: secondo le stime di UNHCR, dall’inizio del 2019 ad oggi è morta nel tentativo di raggiungere l’Europa dalla Libia una persona ogni 11 persone sbarcate, mentre nello stesso periodo del 2017 tale tasso era pari a una persona morta ogni 40.
Al 30 settembre 2019, il 58% delle persone avevano tentato di fuggire sono state riportate forzatamente nell’inferno libico. I migranti intercettati in mare dalla Guardia Costiera libica vengono rinchiusi nei centri di detenzione, in condizioni disumane, denutriti, senza cure mediche né
spazio sufficiente. È ampiamente documentato come questi non siano luoghi di mera detenzione, ma
vi si attuino veri e propri sequestri a scopo di estorsione. Uomini, donne e bambini vengono
sottoposti a torture, stupri e violenze. Alcune persone, inoltre, subito dopo lo sbarco vengono vendute a trafficanti di esseri umani.
La guerra in corso in Libia ha aggravato ulteriormente la già tragica situazione: i migranti rinchiusi
nei centri di detenzione muoiono sotto le bombe, come accaduto a Tajoura, oppure di fame e di sete,
quando i gestori dei centri fuggono di fronte all’avanzata della fazione opposta.