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Pubblichiamo la traduzione di un articolo scritto per l’Huffington Post UK da Mohamed Lotfy, ricercatore sui diritti umani, direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, la cui moglie Amal Fathy è in carcere dall’11 maggio 2018 per un video pubblicato su Facebook e per la presunta appartenenza a un movimento di giovani attivisti.
Da ricercatore sui diritti umani, incontro tantissime persone finite in carcere così come i loro familiari. Ogni incontro è un colpo al cuore. Ma ho compreso in pieno la loro pena solo quando l’ho dovuta provare a mia volta: è mille volte peggio di quanto avrei mai potuto immaginare.
Quando mia moglie Amal è stata arrestata, mi sono sentito sconvolto e distrutto. Non ha fatto niente di pericoloso. Non ha commesso alcun reato. Ha unicamente parlato della violenza sessuale.
Solo che, in Egitto, quando prende la parola una sopravvissuta alla violenza, è lei a essere punita, non l’autore.
Ognuno sa bene che la violenza sessuale esiste in Egitto, come nel resto del mondo. Ma nel mio paese è diventata così comune che non fa più notizia. Se una persona si rifiuta ad accettarla, è lei quella “strana”. Ed è esattamente quello che è accaduto ad Amal. Ha deciso di prendere posizione e di raccontare la sua storia ed è stata punita per questo.
Da quando, a maggio, Amal è stata arrestata, ho presentato ricorsi contro la sua detenzione. Nella prima delle due inchieste nei suoi confronti, quella del video in cui denunciava le molestie sessuali, ha ottenuto il rilascio su cauzione. Ma poi è stata posta in detenzione preventiva nell’ambito dell’altra inchiesta, per “appartenenza a un gruppo terrorista”, “uso della Rete per promuovere idee che invocano azioni terroristiche” e “diffusione intenzionale di notizie false che potrebbero danneggiare la sicurezza e gli interessi pubblici”.
Ora è sotto processo, anche se non sappiamo esattamente per quali accuse. La prima udienza si è tenuta l’11 agosto di fronte al tribunale per i reati minori del Cairo.
Queste accuse non hanno alcun fondamento. Sono assurde e ridicole.
Amal è in carcere. Anche se ha tutto ciò che le basta a sopravvivere, sono preoccupato per lei.
Certo, è una donna forte che sogna di diventare attrice, è socievole, onesta, ama ridere e quando parla va dritta al punto. Ma la prigione può distruggere anche la più forte delle persone.
Amal soffre di depressione e non riceve i medicinali di cui ha bisogno. Ha avuto problemi alla gamba sinistra e ci sono volute due settimane perché venisse curata adeguatamente.
Nessuno di noi capisce perché sia in carcere e il fatto che sia addirittura sotto processo per aver espresso un’opinione è semplicemente ridicolo. Siamo esseri umani che hanno il diritto di condividere idee, di comunicare le nostre speranze e le nostre paure in modo da cambiare in meglio le nostre vite. Dovremmo avere la possibilità di parlare liberamente e insieme.
Devo essere forte per Amal e per nostro figlio, che ha tre anni. Quando la vado a trovare, faccio del mio meglio per tenere su di morale entrambi.
So che tantissima gente sta svolgendo iniziative e inviando appelli per chiedere il rilascio di Amal: è incredibile!
I sostenitori di Amnesty International stanno scrivendo lettere e mi riempie il cuore di gioia vedere quante persone sono solidali con noi. Dà a entrambi la forza per andare avanti. Con tante persone dalla nostra parte, non ci sentiamo isolati. E non ci arrenderemo…
Vivere in questo limbo, però, è frustrante per tutti noi. Io e nostro figlio continuiamo a sperare che Amal sia rilasciata, e ogni volta che questo non succede il ciclo del dolore ricomincia, soprattutto ora che è iniziato il processo.
Le autorità egiziane sono solite usare quel genere di accuse contro chi le critica e contro i giornalisti, nel tentativo di ridurli al silenzio. Mia moglie ha mostrato coraggio nel denunciare di aver subito molestie sessuali e per questo coraggio dovrebbe essere applaudita, non processata.