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L’8 novembre il mercantile “Nivin”, battente bandiera panamense, ha soccorso nel Mediterraneo centrale un gruppo di migranti e rifugiati, tra cui dei bambini, che cercava di raggiungere le coste europee. Secondo quanto abbiamo appreso, in questa operazione sono state coinvolte le autorità marittime di Italia e Malta. Il “Nivin” ha fatto rotta verso la Libia, in evidente violazione del diritto internazionale, dato che quello non può essere considerato un paese sicuro dove effettuare lo sbarco.
Chiediamo alle autorità libiche, europee e panamensi di assicurare che gli almeno 79 migranti e rifugiati a bordo di un mercantile fermo nel porto di Misurata non siano costretti a sbarcare per essere portati in un centro di detenzione libico dove rischierebbero di subire torture e ulteriori violenze.
Quattordici persone che il 15 novembre hanno accettato di lasciare la nave (portando con loro un neonato di quattro mesi), sono stati trasferiti in un centro di detenzione.
La vicenda del mercantile “Nivin” si svolge proprio mentre dai centri di detenzione libici arrivano notizie di rifugiati e migranti che minacciano di suicidarsi, come ha tentato di fare un giovane eritreo alcuni giorni fa, o lo fanno, come un somalo che si è dato fuoco.
Le proteste a bordo del mercantile, ora ancorato nella rada di Misurata, dà una chiara indicazione delle condizioni terribili dei centri di detenzione libici per migranti e rifugiati, in cui torture, stupri, pestaggi, estorsioni e ulteriori violenze sono all’ordine del giorno”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
“È davvero ora che le autorità libiche pongano fine alla brutale prassi di porre illegalmente in detenzione migranti e rifugiati. Nessuno dovrebbe essere respinto in Libia per essere sottoposto a condizioni di prigionia inumane e alla tortura”, ha aggiunto Morayef.
Come la maggior parte dei migranti e dei rifugiati che passano attraverso la Libia, le persone a bordo del “Nivin” hanno raccontato ad Amnesty International di aver subito trattamenti orribili, tra cui estorsioni, torture e obbligo di lavori forzati, così come documentato in passato dall’organizzazione per i diritti umani. Una di loro ha riferito di essere stato già trattenuto in otto diversi centri di detenzione e che preferirebbe morire piuttosto che tornarvi.
“Impossibilitati a tornare nel loro paese per il timore di subire persecuzioni e con assai scarse possibilità di essere reinsediati in un paese terzo, per la maggior parte dei rifugiati e dei richiedenti trattenuti nei centri di detenzione libici l’unica opzione è quella di rimanervi all’interno, col rischio di subire gravi violenze”, ha commentato Morayef.
“L’Europa non può più ignorare le catastrofiche conseguenze delle politiche che ha adottato per fermare le partenze attraverso il Mediterraneo. Le proteste in atto a bordo del mercantile devono suonare come una sveglia per i governi europei e per la comunità internazionale nel suo complesso: la Libia non è un paese sicuro per i migranti e i rifugiati”, ha sottolineato Morayef.
Denunciamo che migliaia di migranti e rifugiati continuano a essere intrappolati, in condizioni aberranti e senza via d’uscita, nei centri di detenzione libici.