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Il governo della Mongolia non ha preso provvedimenti efficaci nei confronti delle violazioni dei diritti umani avvenute nel luglio 2008 durante la rivolta di piazza Sukhbaatar, nella capitale Ulaanbaatar.
Il 1° luglio 2008 migliaia di persone si radunarono in piazza Sukhbaatar, in un contesto contrassegnato da denunce di ampi brogli elettorali. La rivolta fu improvvisa e inaspettatamente violenta. La polizia sparò contro nove manifestanti, uccidendone quattro. Una quinta persona morì per soffocamento da fumo. Dalla mezzanotte e per quattro giorni, il governo applicò lo stato d’emergenza, per la prima volta dalla transizione al sistema democratico del 1990.
A distanza di un anno e mezzo da quei fatti, resta uno strascico d’impunità e ingiustizia. È quanto denunciato oggi da Amnesty International in un nuovo rapporto, nel quale si ricorda come centinaia di manifestanti vennero arrestati e trattenuti nelle celle delle stazioni di polizia, picchiati per estorcere ‘confessioni’ e lasciati in condizioni di sovraffollamento e senza acqua né cibo anche per 72 ore. Più di 700 persone furono arrestate durante la rivolta e oltre 100 nelle settimane successive.
Le indagini avviate da allora hanno avuto un mandato limitato e le denunce di violazioni dei diritti umani, tra cui la tortura, i maltrattamenti e l’uso eccessivo e non necessario della forza, sono state in larga parte ignorate.
‘A un anno e mezzo dalla rivolta non c’è stata ammissione di responsabilità da parte delle autorità né vi è stata giustizia per le vittime’ – ha dichiarato Roseann Rife, vicedirettrice del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International.
I procedimenti nei confronti di 10 agenti e di quattro dirigenti di polizia sospettati di avere, rispettivamente, usato e autorizzato l’uso di munizioni letali, sono stati bloccati dagli imputati e dai loro legali.
‘Il governo della Mongolia non ha voluto indagare seriamente sulle denunce relative alle torture e ai maltrattamenti subiti dai manifestanti in carcere né sull’uso e sull’autorizzazione all’uso delle munizioni letali’ – ha proseguito Rife. In questo modo, la Mongolia è venuta meno ai propri obblighi internazionali, che richiedono l’adozione di misure legislative, giudiziarie e amministrative per prevenire le violazioni dei diritti umani, portare di fronte alla giustizia i responsabili e assicurare una riparazione alle vittime, in linea con gli standard internazionali.
La segretezza che avvolge le operazioni della polizia e degli altri corpi di sicurezza, si legge nel rapporto di Amnesty International, sta ulteriormente danneggiando la reputazione di questi organismi, creando paura e sfiducia. Questi sentimenti persisteranno fino a quando le autorità non prenderanno provvedimenti concreti per aprire inchieste indipendenti, giudicare i responsabili di violazioni dei diritti umani e introdurre riforme per evitare che ulteriori abusi abbiano luogo.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 18 dicembre 2009
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