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L’11 settembre le autorità militari statunitensi hanno reso nota la morte, avvenuta tre giorni prima, di Adban Farhan Abdul Latif, cittadino yemenita, detenuto a Guantánamo da 10 anni e mezzo senza accusa né processo. Si è trattato del nono prigioniero morto nel centro di detenzione aperto dagli Usa nel gennaio 2002: sei di essi si sono suicidati.
Amnesty International ha sollecitato le autorità statunitensi ad aprire un’inchiesta approfondita, indipendente e guidata da personale civile sulle circostanze della morte di Adnan Latif, a renderne note le conclusioni e a conservare i risultati dell’autopsia.
L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto alle autorità statunitensi di risolvere la situazione dei 167 uomini ancora detenuti a Guantánamo e di chiudere il centro di detenzione una volta per tutte.
Adnan Latif era stato arrestato nel dicembre 2001 dalla polizia del Pakistan lungo il confine afgano, consegnato alle forze militari Usa e trasferito a Guantánamo il 17 gennaio 2002. Secondo il suo avvocato, ha trascorso la maggior parte dei dieci anni e mezzo di prigionia in isolamento. Aveva tentato il suicidio numerose volte.
Nel luglio 2010, un giudice federale aveva stabilito che la detenzione di Adnan Latif era illegittima e che egli doveva essere rilasciato. L’amministrazione Obama aveva fatto ricorso e una corte d’appello le aveva dato ragione.
Nel maggio 2012, aveva intrapreso uno sciopero della fame che, secondo le autorità militari statunitensi, era cessato all’inizio di giugno.
Amnesty International ritiene che le famiglie dei detenuti morti a Guantánamo debbano avere accesso a un rimedio giudiziario per le violazioni dei diritti umani subite dai loro congiunti, tra cui detenzione arbitraria, tortura e pene e trattamenti crudeli, disumani e degradanti.