MYANMAR, AMNESTY INTERNATIONAL DENUNCIA CAMPAGNA DI “TERRA BRUCIATA” E POSSIBILI CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ NEL TERRITORIO DELLA MINORANZA ROHINGYA

20 Dicembre 2016

Tempo di lettura stimato: 9'

In evidenza:

  • violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito che potrebbero costituire crimini contro l’umanità;
  • uccisioni e stupri da parte dei soldati contro donne e ragazze rohingya;
  • fuoco indiscriminato dagli elicotteri sui villaggi;
  • migliaia di rifugiati respinti illegalmente dal Bangladesh.

In un rapporto pubblicato oggi, Amnesty International ha accusato le forze di sicurezza di Myanmar di uccisioni illegali, stupri di massa e incendi di abitazioni e di interi villaggi commessi nel corso di un campagna di violenze contro la minoranza rohingya, che potrebbero costituire crimini contro l’umanità.

Basato su lunghe interviste a rohingya in Myanmar e in Bangladesh e sull’analisi di immagini satellitari, video e fotografie, il rapporto denuncia anche decine di arresti arbitrari eseguiti negli ultimi due mesi durante le feroci e sproporzionate operazioni di sicurezza portate a termine nello stato di Rakhine.

L’esercito di Myanmar ha preso di mira la popolazione civile rohingya con una spietata e sistematica campagna di violenze. Uomini, donne, bambini, famiglie e interi villaggi sono stati attaccati e sottoposti a una punizione collettiva” – ha dichiarato Rafendi Djamin, direttore per l’Asia sudorientale e il Pacifico di Amnesty International.

Queste deplorevoli azioni dell’esercito potrebbero essere intese come parte di un attacco massiccio e sistematico contro una popolazione civile e dunque costituire crimini contro l’umanità. Temiamo che gli orribili racconti che abbiamo rivelato siano solo la punta dell’iceberg” – ha aggiunto Djamin.

Se da un lato l’esercito è direttamente responsabile di queste violazioni, Aung San Suu Kyi è venuta meno alla responsabilità politica e morale di fermare e condannare quanto sta accadendo nello stato di Rakhine” – ha sottolineato Djamin.

Attacchi e uccisioni a caso

Dopo gli attacchi del 9 ottobre contro alcuni posti di blocco della polizia di frontiera, attribuito a militanti della minoranza rohingya e che causò nove vittime, l’esercito di Myanmar ha lanciato un’operazione di sicurezza su vasta scala nello stato settentrionale di Rakhine.

Dalle ricerche di Amnesty International è emerso che la campagna militare è andata ben oltre quella che potrebbe essere considerata una risposta proporzionata a una minaccia alla sicurezza. Più testimoni oculari hanno riferito che i soldati sono entrati nei villaggi, aprendo il fuoco a caso e uccidendo uomini, donne e bambini in un numero che Amnesty International non è stata in grado di determinare.

Il 12 novembre due elicotteri dell’esercito hanno aperto il fuoco contro un gruppo di villaggi, uccidendo un numero imprecisato di abitanti e costringendo alla fuga tutti gli altri. Il giorno dopo i soldati hanno incendiato centinaia di abitazioni.

Stupri e altre forme di violenza sessuale

Durante le operazioni militari, dopo che gli uomini erano fuggiti i soldati hanno stuprato e e sottoposto ad altre forme di violenza sessuale le donne e le ragazze dei villaggi.

Amnesty International ha intervistato molte donne rohingya che hanno subito stupri o che vi hanno assistito. Anche gli operatori umanitari che si trovano in Bangladesh hanno confermato che parecchie sopravvissute agli stupri hanno dovuto ricevere cure mediche a causa delle ferite subite.

Arresti arbitrari e detenzioni

I militari e la polizia di frontiera hanno arrestato centinaia di rohingya, soprattutto uomini e in particolare gli anziani, gli uomini d’affari e i leader locali. Il rapporto di Amnesty International ha documentato almeno 23 casi in cui rohingya sono stati arrestati senza che in seguito siano emerse informazioni sul luogo di detenzione o sulle accuse a loro carico.

Gli organi d’informazione statali hanno riferito che da allora almeno sei persone sono morte in custodia, alimentando forti timori per l’uso della tortura durante la detenzione.

Terra bruciata

Attraverso interviste ai sopravvissuti e l’analisi di immagini satellitari, Amnesty International ha potuto confermare che l’esercito ha incendiato oltre 1200 abitazioni ed edifici dei rohingya, in alcuni casi dando fuoco a interi villaggi usando, secondo numerose testimonianze, dei lanciagranate portatili.

Le distruzioni nei villaggi dove c’erano stati scontri tra l’esercito e i militanti rohingya sono state particolarmente estese e questo fa pensare che si sia trattato di azioni di rappresaglia.

Catastrofe umanitaria

La vita di decine di migliaia di persone è a rischio a causa della crisi umanitaria generata dalla decisione delle autorità di Myanmar di impedire quasi del tutto l’accesso degli aiuti nello stato di Rakhine. Anche prima del 9 ottobre, la malnutrizione aveva raggiunto livelli critici e la sopravvivenza di 150.000 persone dipendeva dagli aiuti alimentari.

La sospensione dei servizi sanitari è particolarmente preoccupante per gli ammalati, le donne in gravidanza e quelle che hanno appena partorito. Almeno 30.000 persone costrette a lasciare le loro case sono state abbandonate praticamente a sé stesse in quanto gli organismi umanitari non possono raggiungerle.

Fallimento politico

Nonostante le evidenti prove del contrario, le autorità di Myanmar continuano a negare che l’esercito abbia commesso violazioni dei diritti umani durante la campagna militare.

Quanto Aung San Suu Kyi, di fatto a capo del governo civile di Myanmar, possa influenzare gli eventi è difficile stabilirlo poiché l’esercito agisce in modo indipendente dalla supervisione dell’amministrazione civile e mantiene il controllo su buona parte del governo. Tuttavia, la Nobel per la pace non ha mai preso posizione contro le atrocità e appare non poterlo o non volerlo fare.

Le autorità di Myanmar ignorano ostinatamente le violazioni dei diritti umani commesse dall’esercito nello stato di Rakhine. Queste violazioni, del tutto indifendibili, devono cessare immediatamente e devono essere avviate indagini indipendenti che portino i responsabili a rispondere delle loro azioni” – ha sottolineato Djamin.

Disperazione lungo il confine col Bangladesh

Negli ultimi due mesi, decine di migliaia di rohingya hanno oltrepassato il confine col Bangladesh in cerca di salvezza. La stima delle Nazioni Unite è di 27.000 persone ma il numero esatto è impossibile da determinare.

Dopo questi ingressi, il Bangladesh ha rafforzato la sua abituale politica di chiusura del confine. Le autorità locali hanno arrestato e respinto migliaia di rohingya, in violazione del principio internazionale di non respingimento, che vieta assolutamente i ritorni forzati in luoghi o paesi dove le persone respinte potrebbero subire gravi violazioni dei diritti umani.

La minaccia di arresti e deportazioni ha costretto i rohingya a nascondersi all’interno dei campi, dei villaggi e delle foreste del sud-est del Bangladesh. Attualmente queste persone vivono in condizioni terribili a causa delle forti limitazioni imposte dal governo all’arrivo degli aiuti, considerati un “fattore di attrazione”.

Il governo del Bangladesh deve aprire i confini ai richiedenti asilo e smetterla di trattare i rohingya che arrivano colmi di disperazione alla stregua di criminali. Gli aiuti umanitari devono pervenire senza ostacoli alle migliaia di persone che sono fuggite dalle orribili violenze di Myanmar” – ha concluso Djamin.

Ulteriori informazioni

Fotografie e immagini satellitari sono disponibili a questo link: https://adam.amnesty.org/asset-bank/images/assetbox/c9ee96eb-cd29-4ef5-8f9f-ca0ac120f398/assetbox.html

Per approfondimenti e interviste:

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