Myanmar: nuove prove di violazioni dei diritti umani nell’ambito di operazioni militari nello stato di Rakhine

11 Febbraio 2019

© Andrew Stanbridge / Amnesty International

Tempo di lettura stimato: 9'

Myanmar: nuove prove da Amnesty International di violazioni dei diritti umani nell’ambito di operazioni militari nello stato di Rakhine

Amnesty International ha denunciato che, nell’ambito di operazioni militari avviate all’inizio di gennaio nello stato di Rakhine contro il gruppo armato Esercito dell’Arakan, le forze di sicurezza di Myanmar hanno bombardato villaggi e impedito l’accesso degli aiuti umanitari e del cibo alla popolazione civile. Sono state inoltre impiegate leggi generiche e repressive per eseguire arresti di civili.

“Questi ultimi sviluppi sono un’altra conferma che le forze armate di Myanmar operano senza alcun riguardo per i diritti umani. Bombardare case abitate e impedire l’accesso alle scorte di cibo sono azioni ingiustificabili in qualunque circostanza”, ha dichiarato Tirana Hassan, direttrice del programma Risposta alle crisi di Amnesty International.

Secondo le informazioni ricevute da Amnesty International, nelle ultime settimane sono state nuovamente dispiegate nella zona divisioni dell’esercito coinvolte nelle atrocità commesse contro il gruppo etnico rohingya nei mesi di agosto e settembre del 2017.

“Nonostante la condanna internazionale nei confronti di tali atrocità, tutto lascia suggerire che quelle stesse divisioni stiano commettendo ulteriori gravi violazioni dei diritti umani”, ha commentato Hassan.

Nel settembre 2018 una Missione di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite aveva chiesto indagini e provvedimenti penali nei confronti di alcuni ufficiali di Myanmar per crimini di diritto internazionale contro i rohingya nello stato di Rakhine e contro minoranze etniche negli stati di Kachin e Shan.

Gli attacchi dell’Esercito dell’Arakan 

Il 4 gennaio 2019, Giornata dell’indipendenza di Myanmar, il gruppo armato Esercito dell’Arakan ha portato a termine quattro attacchi coordinati contro altrettante postazioni della polizia nel nord dello stato di Rakhine, uccidendo 13 agenti. L’Esercito dell’Arakan fa parte di una coalizione di gruppi armati che operano nel nord di Myanmar e che negli ultimi anni è stata impegnata in scontri sporadici con le forze di sicurezza anche nello stato di Chin.

Alcuni giorni dopo gli attacchi, il governo civile di Myanmar ha dato ordine alle forze armate di avviare un’operazione per “stroncare” l’Esercito dell’Arakan, definito “organizzazione terrorista” dal portavoce del governo. Da allora l’esercito ha spostato nello stato di Rakhine numerose truppe e divisioni tra cui, secondo fonti giornalistiche e attivisti locali, anche la 99ma divisione di Fanteria leggera, responsabile di atrocità contro i rohingya nel 2017 e contro le minoranze etniche del nord dello stato di Shan nel 2016.

Secondo le Nazioni Unite, alla data del 28 gennaio erano stati costretti alla fuga per evitare i combattimenti oltre 5200 uomini, donne e bambini per lo più appartenenti a minoranze etniche buddiste come i mro, i khami, i daingnet e i rakhine.

Amnesty International ha contattato telefonicamente 11 sfollati, operatori di agenzie umanitarie e attivisti locali dello stato di Rakhine. La maggior parte di loro ha dichiarato di essere fuggita dai propri villaggi a causa dei bombardamenti dell’esercito nei paraggi e delle restrizioni all’accesso al cibo.

“Le forze armate di Myanmar si comportano in questo modo brutale da decenni e devono essere chiamate a risponderne. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve deferire immediatamente la situazione alla Corte penale internazionale”, ha commentato Hassan.

Attacchi illegali

Tre abitanti di Auk Pyin Nyar, un villaggio a maggioranza etnica mro sulle colline di Tha Lu Chaung, hanno raccontato che il 21 dicembre 2018 due colpi di mortaio o di artiglieria sono esplosi a un centinaio di metri dalle loro case. Quando la mattina dopo sono fuggiti hanno udito ulteriori esplosioni.

Lo stesso racconto ha fatto un altro mro del villaggio di Tha Yet Pyin. Il 13 gennaio dopo una forte esplosione gli abitanti sono fuggiti e hanno trovato riparo all’interno di un monastero, poi sono stati spostati in un campo per sfollati del villaggio di Done Thein. Al ritorno nel villaggio per recuperare lo stato di famiglia, ha visto diverse case e la scuola locale danneggiate. Nelle abitazioni erano stati rubati i soldi. In quel periodo le forze di sicurezza di Myanmar controllavano l’accesso al villaggio.

Altri casi di attacchi e successivi saccheggi sono stati riferiti dal quotidiano Irrawaddy e da Radio Free Asia.

Amnesty International non ha potuto accertare in modo definito le responsabilità dell’esercito di Myanmar per ogni attacco che ha causato feriti o danneggiato o distrutto proprietà. Questa tattica illegale è tuttavia da tempo il tratto distintivo delle operazioni militari contro i gruppi armati. In un rapporto del giugno 2017 Amnesty International aveva documentato bombardamenti indiscriminati durante operazioni militari in corso negli stati di Kachin e Shan che avevano causato morti e feriti tra i civili e costretto alla fuga migliaia di persone.

“Questi attacchi illegali stanno seminando il panico in molti villaggi. Centinaia, se non migliaia di civili si sono dati alla fuga”, ha sottolineato Hassan.

Limitazioni all’accesso al cibo e agli aiuti

Una donna mro di 34 anni di un villaggio della zona di Kyauktaw ha riferito ad Amnesty International che la polizia e i soldati hanno ridotto la quantità di riso che poteva essere portata nel villaggio, che già era in crisi dato che i combattimenti nella zona avevano impedito la raccolta di riso e bambù.

Il villaggio si è spopolato e altri hanno subito la stessa sorte.

Secondo un attivista locale, le autorità proseguono a limitare le quantità di cibo da portare nei villaggi sostenendo che sia una misura necessaria per tagliare le linee di rifornimento all’Esercito dell’Arakan.

Le autorità di Myanmar hanno anche inasprito le restrizioni all’ingresso degli aiuti umanitari nello stato di Rakhine. Il 10 gennaio il governo locale ha impedito a tutte le agenzie dell’Onu e alle organizzazioni umanitarie internazionali, con l’eccezione del Comitato internazionale della Croce rossa (Icrc) e del Programma alimentare mondiale (Wfp) di operare in cinque centri interessati dal conflitto in una delle aree più povere e sottosviluppate di Myanmar.

Le autorità locali, insieme a Icrc e Wfp, hanno provveduto a fornire aiuti in natura e in denaro ma la distribuzione è irregolare e insufficiente. Diversi operatori umanitari ritengono che il vero obiettivo di queste limitazioni sia di tenere lontano testimoni degli effetti delle operazioni militari.

“Le autorità di Myanmar stanno deliberatamente giocando con le vite e i mezzi di sussistenza dei civili. Lo abbiamo visto più e più volte: la priorità dei militari non è di proteggere i civili sulla linea del fronte ma di evitare che la comunità internazionale noti le loro violazioni dei diritti umani”, ha concluso Hassan.

Uso di leggi repressive e possibili detenzioni arbitrarie

Le forze di sicurezza di Myanmar paiono aver fatto ricorso a leggi repressive per arrestare e inviare a processo civili sospettati di simpatizzare con l’Esercito dell’Arakan.

Una delle norme maggiormente impiegate in questo contesto è la Legge sulle associazioni illegali, usata ampiamente in passato per perseguitare attivisti, giornalisti e altre persone nelle zone di conflitto.

Secondo il quotidiano Irrawaddy, il 4 febbraio 26 persone sono state arrestate perché sospettate di parteggiare per il gruppo armato Esercito dell’Arakan. La stessa fonte ha reso noto che una trentina di amministratori locali si sono dimessi per evitare di essere raggiunti da analoghe accuse.

Roma, 11 febbraio 2019

Per interviste:

Amnesty International Italia – Ufficio Stampa

Tel. 06 4490224 – cell. 348 6974361, e-mail: press@amnesty.it