Myanmar: contro i rohingya è “pulizia etnica”

15 Settembre 2017

AFP/Getty Images

Tempo di lettura stimato: 4'

Prosegue da più di un mese la campagna coordinata di incendi sistematici dei villaggi rohingya nello stato di Rakhine, in Myanmar.

Le prove sono state raccolte grazie all’analisi dei dati dei rivelatori satellitari antincendio, delle immagini satellitari, delle riprese fotografiche e video dal terreno, così come decine di testimonianze oculari tanto in Myanmar quanto in Bangladesh.

Le prove sono inconfutabili: le forze di sicurezza stanno dando alle fiamme lo stato di Rakhine in una campagna mirata per costringere i rohingya a lasciare il paese. Non c’è alcun dubbio: si tratta di pulizia etnica“, ha dichiarato in una nota ufficiale Tirana Hassan, direttrice di Amnesty International per le risposte alle crisi. Fatti che smentiscono anche “quanto dichiarato al mondo da Aung Sau Suu Kyi, ossia che quelle che lei ha definito ‘operazioni di bonifica’ siano terminate il 5 settembre.

Il modello è chiaro e sistematico. Le forze di sicurezza circondano un villaggio, sparano alle persone in fuga e in preda al panico e poi danno alle fiamme le abitazioni. In termini giuridici, questi sono crimini contro l’umanità, ossia attacchi sistematici e deportazione forzata di civili“, ha precisato Hassan.

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Myanmar: incendi mirati su vasta scala nei villaggi rohingya

Dal 25 agosto, quando l’esercito di Myanmar ha lanciato un’operazione militare a seguito degli attacchi del gruppo armato Esercito di salvezza dei rohingya dell’Arakan (Asra) contro una serie di posti di blocco della polizia, si sono registrati almeno 80 vasti incendi in aree abitate. Negli ultimi quattro anni i sensori satellitari non hanno mai rilevato incendi di simile portata in un intervallo di tempo analogo.

Gli incendi hanno interessato ampie parti delle zone abitate dai rohingya nello stato di Rakhine. Sebbene sia impossibile valutare in modo indipendente e sul posto i danni causati dagli incendi a causa delle restrizioni imposte dal governo di Myanmar, con ogni probabilità sono stati dati alle fiamme interi villaggi e decine di migliaia di persone terrorizzate hanno dovuto fuggire.

Il numero effettivo degli incendi e delle proprietà distrutte è destinato a essere più alto, poiché la copertura nuvolosa tipica della stagione monsonica ha reso difficile al satellite fotografarli tutti. Per di più, focolai più piccoli possono non essere rilevati dai sensori satellitari.

I testimoni oculari rohingya sia nello stato di Rakhine che tra i rifugiati in Bangladesh hanno descritto l’agghiacciante modus operandi delle forze di sicurezza: soldati, agenti di polizia e vigilantes circondano un villaggio e sparano in aria prima di entrare, ma spesso fanno irruzione sparando a casaccio in tutte le direzioni e centrando le persone in fuga.

Particolarmente sconcertante è la circostanza che in alcune zone le autorità abbiano avvisato i villaggi che le loro case sarebbero state date alle fiamme: una chiara indicazione che gli attacchi erano sia deliberati che pianificati.

Le forze di sicurezza circondano un villaggio, sparano alle persone in fuga e in preda al panico e poi danno alle fiamme le abitazioni.


Incendi nei villaggi abitati dai rohingya: le prove e le testimonianze

Myanmar: l’esercito piazza mine antipersona

Alle prove degli incendi si aggiungono le denunce rivolte contro l’esercito di Myanmar che ha intenzionalmente collocato mine terrestri antipersona, vietate dal diritto internazionale, che nell’ultima settimana hanno ucciso una persona e ne hanno ferite altre tre, tra cui due minorenni di 10 e 13 anni.

La verifica delle testimonianze oculari attraverso il parere di esperti in materia di armi, conferma le violazioni del diritto internazionale che si stanno verificando nella terra di frontiera del nord-ovest dello stato di Rakhine.

Le forze di sicurezza circondano un villaggio, sparano alle persone in fuga e in preda al panico e poi danno alle fiamme le abitazioni.

Rohingya in fuga: “Le autorità devono smetterla di negare”

Secondo le stime delle Nazioni Unite, dal 25 agosto la violenza e gli incendi dei villaggi hanno costretto oltre 450.000 persone a fuggire in Bangladesh. Altre decine di migliaia potrebbero essere sfollate o in fuga all’interno dei confini di Myanmar. Già nel corso della precedente offensiva militare su vasta scala, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 erano fuggite circa 87.000 persone.

I numeri parlano da soli: non è esagerato dire che in meno di un anno quasi mezzo milione di rohingya ha dovuto lasciare le loro case. I crimini commessi dalle forze di sicurezza di Myanmar devono essere indagati e i responsabili devono essere chiamati a risponderne di fronte alla giustizia. E Myanmar deve porre fine alla discriminazione sistematica ai danni dei rohingya che è al cuore dell’attuale crisi – ha affermato Hassan – È giunto il momento che la comunità internazionale rivolga attenzione all’incubo che stanno vivendo i rohingya. Le prove raccolte dicono che gli attacchi contro di loro sono calcolati e coordinati in vari luoghi dello stato di Rakhine. Dev’esserci molta più pressione su Aung San Suu Kyi e sui vertici militari di Myanmar affinché sia posta fine a questa carneficina“.

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