Nadejda Atayeva, attivista per i diritti umani uzbeca, in Italia

21 Ottobre 2014

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Nadejda Atayeva, esperta di diritti umani in Uzbekistan, in particolare delle vittime di tortura, è in Italia per un tour sui diritti umani.

Nadejda Atayeva è presidente dell’associazione Human Rights for Central Asia. A causa del suo lavoro vive in esilio in Francia.

L’Association for Human Rights in Central Asia è una organizzazione non governativa, fondata in Francia nel 2006.

L’associazione tutela i diritti dei suoi iscritti attraverso meccanismi previsti dalla legislazione nazionale e internazionale. Monitora inoltre la conformità dei governi dell’Asia centrale nel rispetto degli accordi internazionali in materia di diritti umani.

Il 22 ottobre è stata ospite di una video chat di Amnesty International Italia.

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Prossimi appuntamenti

Giovedì 23 ottobre, alla ore 17:00, presso teaching hub, Campus di Forlì, Nadejda Atayeva sarà ospite di un incontro organizzato da Associazione universitaria Koiné Onlus in collaborazione col gruppo di Forlì di Amnesty International.

Venerdì 24 ottobre, ore 17:30, presso Fandango Incontro in via dei Prefetti 22, Roma, Nadejda Atayeva parteciperà all’incontro ‘Diciamo stop alla tortura’.

Introduce e modera: Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia

Interverranno oltre a Nadejda Atayeva:
Maria Pia Paternò, professoressa di Storie delle dottrine politiche, Università di Camerino
Antonio Marchesi, professore di Diritto internazionale, Università di Teramo, e presidente di Amnesty International Italia
Franco di Sciullo, professore di Storia del pensiero politico contemporaneo, Università di Messina
Francesco Rimoli, professore di Teoria dei sistemi giuridici, Università di Teramo
Giulio Salerno, professore di Diritto pubblico, Università di Macerata

La tortura in Uzbekistan

Tortura e altri maltrattamenti sono dilaganti in Uzbekistan. Secondo l’Onu, la tortura è ‘sistemica’ e Amnesty International continua a ricevere denunce sul suo uso pervasivo da parte delle forze di sicurezza e del personale penitenziario.

Le persone vengono torturate al momento dell’arresto, durante i trasferimenti e nei centri di detenzione preventiva: vengono pestate, soffocate, sottoposte a scariche elettriche, sospese al soffitto in posizioni dolorose, stuprate.

Particolarmente a rischio sono gli oppositori politici, i sospettati di far parte o di simpatizzare per gruppi religiosi e movimenti politici di opposizione. Diverse di questi vengono espulsi verso l’Uzbekistan (e qui arrestati e torturati) da paesi dello spazio ex sovietico con cui è in atto una collaborazione tra servizi di sicurezza che viola i diritti umani.

Il governo persegue i fedeli che pregano nelle moschee non controllate dallo stato o in chiese e templi non registrati e giustifica questa persecuzione col pretesto della ‘sicurezza nazionale”; la maggior parte delle condanne è per atti di terrorismo o attività ‘contro lo stato’. Gli attivisti per i diritti umani che osano operare nel paese sono pochi costantemente molestati e controllati dai funzionari della sicurezza.

L’impunità per chi tortura è pressoché totale: le rare denunce ufficiali vengono spesso ignorate. Chi prova a denunciare le torture subite può essere intimidito e ulteriormente torturato. I tribunali si affidano spesso a confessioni estorte con la tortura e ignorano le denunce presentate dagli imputati; inoltre, il paese non ha un sistema indipendente di controllo delle carceri, per cui non è possibile ispezionare le prigioni in modo regolare, senza preavviso né supervisione.

L’Uzbekistan ha formalmente adottato alcune misure per proteggere dalla tortura ma queste norme non vengono rispettate; inoltre il paese ignora le raccomandazioni degli organismi internazionali per i diritti umani, evita d’invitare gli esperti internazionali sulla tortura e impedisce l’accesso nel paese ad Amnesty International.