Necessarie riforme giudiziarie in Giappone

22 Ottobre 2009

Tempo di lettura stimato: 3'

(22 ottobre 2009)

Inizia oggi 22 ottobre a Tokio, dopo 17 anni trascorsi in carcere, il nuovo processo nei confronti di Sugaya Toshikazu, condannato all’ergastolo nel 1993 per l’omicidio di una bambina di 4 anni. La prova del Dna, su cui all’epoca si basò prevalentemente il giudizio di colpevolezza, si è rilevata inaccurata a seguito di un nuovo test effettuato dall’Università di Nihon. Sugaya, inoltre, ha ritrattato per due volte la confessione resa nel corso della prima fase delle indagini, denunciando di aver subito pesanti condizionamenti. La pubblica accusa ha annunciato che chiederà il proscioglimento dell’imputato.

Il caso di Sugaya, secondo Amnesty International, suscita profondi interrogativi sul sistema giudiziario giapponese. Attualmente, una persona arrestata può passare fino a 23 giorni in stato di detenzione preventiva, senza ricevere un’incriminazione formale; gli interrogatori possono durare all’infinito e non vengono verbalizzati; gli avvocati possono incontrare i loro clienti solo per 15-20 minuti e il permesso viene loro accordato solo due o tre giorni dopo la richiesta.

Il sistema si fonda ampiamente sulle confessioni rese durante il periodo di detenzione preventiva, spesso mediante maltrattamenti e torture. Nel corso di questi anni, Amnesty International ha documentato pestaggi, intimidazioni, privazione del sonno, interrogatori ininterrotti dall’alba alla notte, obbligo di rimanere in piedi o nella stessa posizione per lunghi periodi di tempo.

Circa un anno fa, il 28 ottobre 2008, è stato impiccato Kuma Michitoshi, nonostante le reiterate dichiarazioni d’innocenza e malgrado il giudizio di colpevolezza si fosse basato sullo stesso test del Dna usato nei confronti di Sugaya Toshikazu.

(12 ottobre 2009) Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte in Giappone: ‘Stop alle esecuzioni di persone affette da malattia mentale!’
Campagna ‘No alla pena di morte’