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Nigeria, Amnesty International: “Sfollamenti e villaggi incendiati dall’esercito mentre crescono gli attacchi di Boko haram”
Amnesty International, basandosi sulle testimonianze degli abitanti dei villaggi colpiti e sull’analisi di dati satellitari, ha denunciato oggi che le forze armate nigeriane hanno dato alle fiamme e sfollato interi villaggi nello stato di Borno, come reazione al recente aumento di attacchi del gruppo armato Boko haram.
Le forze armate hanno anche sottoposto a fermo arbitrario sei uomini dei villaggi sfollati, secondo uno schema che Amnesty International documenta da circa un decennio nel conflitto del nord-est del paese, Gli uomini sono stati trattenuti in incommunicado per quasi un mese e sottoposti a maltrattamenti prima del loro rilascio, avvenuto il 30 gennaio 2020.
“Queste sfrontate razzie di interi villaggi, in cui deliberatamente si distruggono abitazioni civili e gli abitanti vengono sfollati senza alcuna imperativa necessità militare, dovrebbero essere configurati come possibili crimini di guerra“, ha dichiarato Osai Ojigho, direttrice di Amnesty International Nigeria.
“Le forze armate nigeriane da tempo sottopongono la popolazione civile a queste tattiche brutali, e li presunti responsabili di tali violazioni devono essere immediatamente sospesi e assicurati alla giustizia, ha proseguito“.
Tattiche illegali
Da dicembre 2019, Boko haram ha inasprito i suoi attacchi nella Nigeria nord-orientale, soprattutto lungo la strada che collega Maiduguri e Damaturu, capitali degli stati di Borno e Yobe. Una recente missione di ricerca di Amnesty International nello stato di Borno mostra che, in risposta agli attacchi, le forze armate nigeriane hanno fatto ricorso a tattiche illegali che hanno avuto effetti devastanti sui civili e potrebbero rappresentare crimini di guerra.
Amnesty International ha intervistato 12 tra donne e uomini costrette a lasciare le proprie abitazioni il 3 e il 4 gennaio 2020 da tre villaggi tra Jakana e Mainok, vicini alla strada tra Maiduguri e Damaturu, nello stato di Borno. L’organizzazione ha anche esaminato i dati del telerilevamento satellitare relativi agli incendi, che mostrano una serie di grandi incendi intorno al 3 gennaio in quell’area. Le immagini satellitari di Bukarti, Ngariri, e Matiri mostrano quasi tutte le strutture rase al suolo. Inoltre, le immagini mostrano anche segni di incendi nei villaggi vicini.
Gli abitanti dell’area di Bukarti hanno descritto ad Amnesty International, con testimonianze coerenti fra loro, l’arrivo di molti soldati nigeriani nella tarda mattinata di venerdì 3 gennaio. I soldati andavano di casa in casa e nelle fattorie della zona costringendo tutti a radunarsi sotto un albero e vicino al cimitero tra Bukarti e la strada principale. I soldati avevano anche radunato persone dalla vicina Matiri e le avevano condotte nella stessa area.
Villaggi a fuoco
Intorno alle 3 del pomeriggio del 3 gennaio, i soldati hanno diretto gli abitanti del villaggio verso la strada principale e li hanno costretti a salire a bordo di grandi furgoni, mentre alcuni soldati tornavano a Bukarti. I testimoni hanno poi visto bruciare il villaggio.
“Abbiamo visto le nostre case andare in fiamme, tutti abbiamo iniziato a piangere“, ha ricordato una donna di circa 70 anni di Bukarti.
Oltre 400 tra donne, uomini e bambini sono stati portati da Bukarti a Matiri in un campo per sfollati vicino Maiduguri.
Tre abitanti di Ngariri hanno raccontato che il giorno seguente, il 4 gennaio, i soldati si sono recati nel villaggio, che è attraversato dalla strada principale. Hanno raggruppato soprattutto persone anziane, perché i più giovani erano già scappati verso le aree agricole vicine, e le hanno costrette a salire a bordo di un furgone che le ha condotte a Maiduguri. Ngariri è stata poi distrutto.
Le persone rientrate per verificare lo stato di Bukarti e Ngariri hanno detto ad Amnesty International che era stato tutto bruciato. Le immagini satellitari hanno confermato che entrambi i villaggi sono andai a fuoco all’inizio di gennaio.
I testimoni ascoltati da Amnesty International hanno dichiarato di non aver potuto portare le proprie cose con sé e di aver perso tutto: case, gioielli, abiti e, la cosa più grave, il raccolto.
“Tutto ciò che abbiamo raccolto è andato distrutto, e alcuni dei nostri animali sono morti. Avevo un anno [di raccolto] conservato, dovevo venderlo per comprare vestiti e altre cose per la mia famiglia“, ha raccontato un agricoltore sessantenne.
“Hanno bruciato tutto, anche il cibo, che ci sarebbe bastato [alla mia famiglia] per due anni“, ha dichiarato un altro uomo sulla trentina tornato a controllare i danni. “I nostri vestiti, il nostro cibo, il nostro raccolto, le nostre cisterne. Persino il carrello che utilizzavamo per prendere l’acqua. L’unica cosa non bruciata sono le stoviglie di metallo“.
Ordinare lo sfollamento degli abitanti di questi villaggi quando non vi sono necessità militari imperative o ragioni di sicurezza costituisce un crimine di guerra. Anche il successivo incendio delle loro abitazioni potrebbe rappresentare un crimine di guerra.
Detenzione arbitraria, tortura o altri maltrattamenti
Mentre il 3 gennaio i militari facevano uscire gli abitanti da Bukarti e Matiri, sei uomini più giovani furono bendati, secondo quanto raccontato in maniera coerente dai parenti di due degli uomini e altri testimoni. I soldati non sembravano essere venuti per cercare qualcuno in particolare, né chiesero i nomi. Quattro testimoni hanno dichiarato di aver pensato che quei giovani fossero stati presi perché avevano un cellulare.
I soldati picchiarono alcuni di loro con dei grossi bastoni e li caricarono sui veicoli militari. Questi uomini sono stati tenuti in incommunicado per almeno un mese e i parenti e i capi del villaggio non sono stati in grado di stabilire dove li tenessero. I sei uomini sono stati rilasciati tutti il 30 gennaio e nessuna accusa è stata mossa nei loro confronti.
Due degli uomini fermati hanno detto ad Amnesty International che non hanno capito dove fossero stati portati fino al momento del loro rilascio, quando hanno visto che erano nella caserma militare Maimalari di Maiduguri. Hanno dichiarato che erano incatenati a coppie e, ad eccezione del giorno dell’interrogatorio, non erano mai usciti dalla cella. Ricevevano il cibo una sola volta al giorno.
“Non avevamo cibo“, ha dichiarato uno di loro. “Le persone lì hanno fame. È stato orribile“.
Durante tutto il conflitto tra le forze armate e Boko Haram, Amnesty International ha documentato detenzioni arbitrarie prolungate a opera delle forze armate. I soldati hanno anche sottoposto uomini, donne, e bambini in stato di fermo a tortura e altri maltrattamenti, in violazione del diritto umanitario internazionale e del diritto internazionale dei diritti umani.
“Dicono di averci salvato da Boko haram, ma è una bugia”
Secondo le dichiarazioni dell’esercito nigeriano diffuse dalla stampa le operazioni del 3 gennaio tra Jakana e Mainok sono state condotte dai soldati delle Brigate 5 e 29, insieme al Battaglione di intervento speciale 2. L’esercito sostiene di aver arrestato sei “sospetti” e “salvato… 461 prigionieri di Boko haram” da vari villaggi, tra i quali Bukarti e Matiri.
I testimoni ascoltati da Amnesty International hanno detto che Boko haram non era arrivato nel loro villaggio e che si sentivano molto più al sicuro nel loro villaggio che al campo per sfollati dove erano stati condotti dai militari. “Dicono di averci salvato da Boko haram, ma è una bugia“, ha detto un uomo sui 65 anni. “Boko haram non arriva al nostro villaggio“.
“Se Boko haram fosse venuto da noi, avevamo i nostri animali, il nostro raccolto, non pensate che l’avrebbero preso?” ha aggiunto un’altra donna anziana di Bukarti. “[Boko haram] non è vicino a noi“.
Molti abitanti di Bukarti e Ngariri hanno detto che il loro villaggio era così vicino alla strada principale che non era credibile pensare che Boko haram avesse potuto fare base lì. Hanno detto che i soldati nigeriani passavano regolarmente per quella zona e parlavano frequentemente con i capi villaggio.
Quattro testimoni hanno detto ad Amnesty International che i soldati nigeriani hanno realizzato fotografie degli abitanti del villaggio che salivano sui furgoni in modo da far sembrare che i militari li avessero “salvati”.
“Il governo nigeriano non deve far passare sotto silenzio queste violazioni. Deve invece indagare su questi abusi e i presunti autori devono essere processati. Inoltre, devono essere prese le misure necessarie per garantire che le operazioni militari non provochino più lo sfollamento forzato della popolazione civile“, ha concluso Osai Ojigho.
Crescita degli attacchi di Boko haram
Le operazioni militari arrivano in un momento di crescita delle azioni di Boko Haram nelle zone prossime alla strada fra Maiduguri e Damaturu. L’attacco più grave è avvenuto il 10 febbraio vicino al villaggio di Auno, in cui sarebbero stati uccisi 30 automobilisti. Si tratta del sesto attacco di Boko haram ad Auno in 10 mesi, e mostra sia il disprezzo del gruppo armato per la vita umana sia il crescente pericolo che affrontano i civili che vivono lungo questa strada importantissima che collega lo stato di Borno al resto della Nigeria.