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Le violazioni dei diritti umani in Myanmar sono l’oggetto di una ricerca che fa luce su violazioni agghiaccianti da parte dell’esercito e dei gruppi armati.
Torture, esecuzioni extragiudiziali, bombardamenti di villaggi e limitazioni punitive alla libertà di movimento e all’accesso degli aiuti umanitari sono i principali crimini denunciati dal rapporto “All the civilians soffers” nei confronti dell’esercito. Crimini a cui si aggiungono quelli commessi dai gruppi armati con sequestri di civili sospettati di opposizione, arruolamenti forzati di uomini, donne e bambini e “tasse” imposte agli abitanti dei villaggi che vivono in condizioni miserevoli e sono intrappolati nel conflitto.
“Quasi 100.000 persone hanno dovuto lasciare le loro case e i loro campi a causa del conflitto e delle violazioni dei diritti umani in corso nel nord di Myanmar. Tutte le parti hanno l’obbligo di proteggere i civili e le autorità di Myanmar devono subito togliere ogni restrizione all’accesso degli aiuti umanitari“, ha dichiarato in una nota ufficiale Matthew Wells, alto consulente per le risposte alle crisi di Amnesty International.
La missione dei nostri ricercatori si è svolta tra marzo e maggio 2017 e ha permesso di raccogliere oltre 140 testimonianze nelle zone di conflitto e in 10 campi per sfollati.
Almeno 98.000 civili sono sfollati a seguito degli scontri tra le forze armate di Myanmar e i gruppi armati che rappresentano le varie etnie tra cui l’Esercito per l’indipendenza del Kachin, l’Esercito di liberazione nazionale Ta’ang, l’Esercito di Arakan e l’Esercito dell’alleanza democratica nazionale di Myanmar.
Il governo di Myanmar ha reso la vita degli sfollati ancora più dura limitando l’accesso degli aiuti umanitari in alcune zone, soprattutto quelle controllate dai gruppi armati.
Il rapporto di Amnesty International descrive nove casi in cui, nello stato di Shan, i militari hanno arrestato e torturato civili, in alcuni casi usando gli uomini come scudi umani.
In quattro casi l’esercito di Myanmar ha compiuto esecuzioni extragiudiziali, causando almeno 25 vittime.
Si segnalano inoltre bombardamenti indiscriminati, tra cui uno nel villaggio di Hol Chaung, sempre nello stato di Shan, mentre era in corso una festa.
Abitanti dei villaggi sono stati costretti a fare da guide e da facchini.
I gruppi armati sono in parte considerati un elemento di protezione dei villaggi, ma si rendono anche responsabili di gravi abusi, come il reclutamenti di minori, le estorsioni e l’imposizione di “tasse”.
Amnesty International ha documentato 45 rapimenti di civili ad opera di due gruppi armati attivi nello stato di Shan e dei quali, a mesi di distanza, non si hanno notizie.
Sia l’esercito di Myanmar che i gruppi armati usano mine anti-persona e ordigni improvvisati e artigianali che causano enormi danni ai civili, compresi i bambini, che tornano a casa dalle loro coltivazioni o dai centri per sfollati.
Myanmar è uno dei pochi stati – insieme a Corea del Nord e Siria – a usare ancora le mine anti-persona.
Amnesty International ha chiesto al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di garantire che la missione internazionale di accertamento dei fatti, annunciata di recente, sia dotata di risorse adeguate per indagare su quanto sta accadendo negli stati di Kachin e Shan. Le agenzie delle Nazioni Unite presenti in Myanmar e i donatori internazionali devono chiedere la fine delle limitazioni all’accesso degli aiuti umanitari e aumentare la loro assistenza alle popolazioni civili coinvolte nel conflitto.
La leader birmana Aung San Suu Kyi ha dato priorità all’attuale processo nazionale di pace. Ma, per avere successo, questo negoziato dovrà basarsi sul rispetto dei diritti umani di tutti i civili appartenenti a ogni minoranza e sull’accertamento delle responsabilità.