Francia, sei ong lanciano una class action sui controlli d’identità discriminatori della polizia

27 Gennaio 2021

Tempo di lettura stimato: 8'

Sei organizzazioni per i diritti umani, francesi e internazionali (Maison Communautaire pour un Dévelopement Solidaire (Mcds), Pazapas, Réseau Egalité, Antidiscrimination, Justice Interdisciplinaire (Reaji), Amnesty International Francia, Human Rights Watch e Open Society Justice Initiative) hanno lanciato la prima class action contro lo stato francese per la prassi discriminatoria, diffusa e duratura nel tempo, della profilazione etnica da parte delle forze di polizia.

Le sei organizzazioni ne hanno dato comunicazione formale al primo ministro e ai ministri dell’Interno e della Giustizia, chiedendo riforme strutturali e misure concrete per porre fine alle procedure discriminatorie della polizia.

Nonostante prove incontrovertibili sull’attitudine discriminatoria mostrata da molti anni dagli agenti di polizia durante i controlli d’identità e gli impegni assunti da più governi per affrontare il problema, non è cambiato nulla: è necessaria dunque una class action per porre fine a una prassi stigmatizzante, umiliante e degradante.

Antoine Lyon-Caen, avvocato presso il Consiglio di stato e la Corte di cassazione, ha preparato l’azione legale a nome delle sei organizzazioni, che hanno messo in comune la propria esperienza e il proprio impegno a combattere il razzismo.

L’azione legale contiene le testimonianze di numerose vittime di controlli d’identità in città di tutta la Francia nonché dichiarazioni giurate di agenti di polizia che confermano i pregiudizi che animano tali procedure.

Una delle persone citate nella class action afferma di essere stato vittima di profilazione etnica da parte della polizia sin da quando aveva 16 anni, “anche tre volte al giorno”. Durante uno degli ultimi controlli, “mi hanno bloccato violentemente contro un muro. Uno degli agenti ha toccato le mie parti intime, poi mi ha colpito allo stomaco gridandomi ‘sporco arabo’…

La profilazione etnica è un problema diffuso e pervasivo che esiste da lungo tempo in Francia. Gli agenti di polizia, facendosi forti di poteri molto ampi, eseguono controlli d’identità arbitrari e discriminatori basandosi su caratteristiche fisiche associate ai neri o agli arabi. Studi quantitativi hanno confermato che uomini e ragazzi percepiti come appartenenti a queste due categorie sono presi sproporzionatamente di mira per azioni di fermo e perquisizione. Le analisi qualitative hanno documentato il devastante impatto dell’approccio discriminatorio degli agenti di polizia nei confronti delle vittime, che comprendono persino dodicenni.

Le prove, messe insieme, evidenziano un modello discriminatorio che non può essere liquidato o isolato come se si trattasse di casi sporadici.

Il Difensore dei diritti, l’istituzione nazionale per i diritti umani della Francia, ha ripetutamente criticato i controlli d’identità discriminatori e ha sollecitato riforme. Nel 2016 la Corte di cassazione ha sentenziato che il fermo e la perquisizione di tre giovani aveva costituito profilazione etnica e “un grave esempio di malcondotta che chiama in causa la responsabilità dello stato”.

La legge del 2016 per la modernizzazione della giustizia nel XXI secolo autorizza la presentazione di class action contro la discriminazione e dà ai tribunali il potere di stabilire una serie di rimedi, tra i quali ordinare all’Esecutivo di adottare riforme di sistema.

L’avviso formale di avvio della class action darà inizio a un periodo di quattro mesi nei quali sono possibili negoziati tra le parti. In caso d’insoddisfazione per gli impegni assunti da governo, terminato quel periodo le sei organizzazioni per i diritti umani potranno adire i tribunali.

Secondo le sei organizzazioni per i diritti umani, sono necessarie riforme strutturali per venire a capo della discriminazione di sistema. Misure isolate come le body-cam per gli agenti di polizia sono insufficienti.

Sulla base di anni di lavoro sulla discriminazione delle forze di polizia in Francia e altrove, le sei organizzazioni per i diritti umani chiedono una riforma complessiva basata su questi provvedimenti:

– modificare il codice di procedura penale in modo da proibire espressamente i controlli d’identità discriminatori, abolire i controlli d’identità preventivi e limitare i poteri della polizia per assicurare che i fermi si basino su sospetti oggettivi e riferiti alla persona in questione;
– adottare normative e istruzioni specifiche per porre fine ai controlli nei confronti dei bambini;
– creare un sistema per archiviare e valutare i dati sui controlli d’identità e fornire alle persone fermate documentazione sul controllo appena effettuato;
– istituire un meccanismo efficace e indipendente di denuncia;
– ratificare il Protocollo n. 12 alla Convenzione europea dei diritti umani, che riguarda la non discriminazione:
– cambiare gli obiettivi istituzionali, le linee guida e l’addestramento delle forze di polizia, anche rispetto alle interazioni col pubblico.

La legge francese e i trattati europei e internazionali sui diritti umani vietano la discriminazione nei confronti di chiunque sulla base dell’origine etnica o della religione. Gli organismi europei e delle Nazioni Unite sui diritti umani hanno più volte detto chiaramente che la profilazione razziale o etnica da parte delle forze di polizia costituisce una violazione degli obblighi di uno stato sui diritti umani e ha un impatto pericoloso sulle singole persone e sulle comunità, nonché sulle relazioni tra queste ultime e le forze di polizia.

Riconoscendo l’importanza di questo tema, nel novembre 2020 il Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione razziale ha emesso una raccomandazione generale per “prevenire e combattere la profilazione razziale da parte delle forze di polizia”. Il Comitato ha posto in evidenza che questa prassi non solo è illegale ma “può essere inefficace e controproducente come strumento generale a disposizione delle forze di polizia”.

L’iniziativa delle sei organizzazioni per i diritti umani giunge in un periodo di profonda crisi delle relazioni tra comunità e polizia francese. Dopo il selvaggio pestaggio del produttore musicale nero Michel Zecler dello scorso novembre – l’ultimo di una serie di casi di violenza razzista da parte della polizia – il presidente Emmanuel Macron ha riconosciuto l’esistenza all’interno delle forze di polizia del problema della profilazione etnica.

Il presidente Macron ha annunciato l’uso delle body-cam per le forze di polizia e la creazione di un nuovo meccanismo di denuncia sugli abusi da parte degli agenti, con la partecipazione del Difensore dei diritti e delle organizzazioni non governative. Egli ha anche annunciato che, alla fine di gennaio, sarà avviato un processo di consultazione tra forze di polizia, cariche elettive e cittadini.

Le sei organizzazioni per i diritti umani temono che gli annunci del presidente e le consultazioni produrranno solo misure superficiali e insufficienti. Invece, la class action dovrebbe spingere il governo ad affrontare il problema dei controlli d’identità discriminatori e le loro cause profonde per porvi fine, così come pretendono gli obblighi della Francia rispetto alle leggi nazionali e al diritto internazionale. Il governo dovrebbe smetterla di tergiversare e, dopo una autentica consultazione, intraprendere le riforme strutturali necessarie.