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Gli è scappata la pipì all’interno di una madrasa (scuola religiosa), per di più nella biblioteca che conserva testi sacri. Per questo, è stato incriminato ai sensi della legge contro la blasfemia, che prevede come sanzione obbligatoria la pena di morte.
La vicenda, avvenuta nello stato pachistano del Punjab, ha per protagonista un bambino di otto anni appartenente a una famiglia di religione induista. Dopo che è stata resa nota, una folla di facinorosi ha assaltato un tempio e molti appartenenti a questa minoranza religiosa sono stati costretti a lasciare la zona.
Dopo l’incriminazione, il bambino è stato rilasciato su cauzione e si troverebbe in un luogo protetto. La famiglia vive nascosta. Le autorità locali hanno arrestato 20 persone in relazione all’attacco al tempio e l’Assemblea nazionale ha condannato l’accaduto.
La legge sulla blasfemia, disciplinata dall’articolo 295.C del codice penale, è regolarmente utilizzata per perseguitare i fedeli di credi religiosi minoritari ed è sfruttata per vendette, regolamenti di conti o vicende del tutto private.
Amnesty International ha sollecitato le autorità giudiziarie pachistane ad annullare l’accusa nei confronti del bambino e a garantire protezione a lui e alla sua famiglia.
Gli induisti costituiscono la principale minoranza religiosa non musulmana del Pakistan, tra il due e il quattro per cento della popolazione.