Pensieri e impressioni da Lampedusa – Altre voci – il post di Mariangela

4 Agosto 2011

Tempo di lettura stimato: 21'

(5 agosto 2011)

Premessa
 
Dall’inizio dell’anno ho seguito costantemente le vicende dell’arrivo di migranti a Lampedusa. Questo momento ha coinciso con la scrittura della mia tesi in letteratura della migrazione. Si è fatta sempre più pressante la voglia di vedere con i miei occhi la situazione lampedusana, senza dover passare attraverso il filtro quasi mai trasparente dei mezzi di comunicazione. Il campo di Amnesty International sui diritti umani a Lampedusa mi ha dato la possibilità di fare questa esperienza e di incontrare volti e voci degli abitanti dell’ isola.

Arrivo a Lampedusa la sera prima dell’inizio del campo. Entro in un ristorante per cenare insieme ad un’altra ragazza scesa dal mio stesso volo. È venerdì sera, il locale è semivuoto. Alla cassa troviamo Calogero, figlio di un pescatore, la cui famiglia ha una lunghissima tradizione di attività di pesca.
 
Calogero è il primo della famiglia a non averne preso parte. Ci racconta che suo padre aveva venduto il peschereccio per aprire il ristorante, come molti lampedusani hanno fatto, a partire dagli anni settanta, quando sull’isola è scoppiato il turismo di massa. Adesso, i tour in barca per turisti di cui Calogero si occupa, sono ciò che rimane della vita di pescatori della sua famiglia.
 
Ci dà un volantino per invitarci, ha il volto un poco triste. Gli chiedo come sta andando la stagione, anche se i tavoli vuoti mi avevano già fornito la risposta. Ci parla della crisi del turismo. Fino all’estate scorsa, nei mesi caldi i voli nazionali per Lampedusa erano circa 18-20 al giorno, quest’anno sono ridotti a 6-7 giornalieri.  Calogero è molto arrabbiato con il governo italiano e afferma che a Lampedusa è stata creata l’emergenza clandestini, con la collaborazione della stampa e della televisione.
 
Ci dice che è evidente come l’isola sia tranquilla adesso e che problemi per i turisti non ce ne sono assolutamente. Gli chiedo se la popolazione abbia mai avuto problemi con i migranti e che cosa ne pensa. Calogero dice che solo nelle settimane tra febbraio e marzo 2011 i lampedusani hanno convissuto con migliaia di migranti che si mescolavano con gli abitanti nel paese, ma non hanno avuto problemi di convivenza.
 
Continua dicendo che i migranti sicuramente vivevano una condizione di grande disagio, non sapevano dove dormire, dove lavarsi e giravano su e giù per il paese. Secondo Calogero la responsabilità è da attribuire al governo, perché in quel periodo ha bloccato i trasferimenti, creando il caos a Lampedusa. I giornalisti hanno fatto il resto, martellando l’opinione pubblica con notizie e immagini negative dell’isola.
 
Adesso, continua Calogero, non ci sono migranti in giro, ma i tour operator hanno ritirato i pacchetti turistici per Lampedusa proprio a febbraio-marzo, e hanno dirottato gli investimenti su altre mete estive. La perdita di turisti secondo Calogero è dell’ottanta per cento. Calogero dice che il governo avrebbe potuto far accordi con Alitalia per sostenere il turismo e offrire pacchetti turistici low cost, così avrebbe davvero potuto aiutare gli abitanti di Lampedusa.

Salutiamo Calogero e gli promettiamo che racconteremo il suo punto di vista e che inviteremo quante più persone possibile a venire a Lampedusa.

La realtà è che il governo ha prodotto solo un misero spot pubblicitario di pochi secondi, che è stato pressoché invisibile a fronte della campagna mediatica di tv e giornali che hanno fatto di Lampedusa un’isola invasa dai migranti e abitata da una popolazione ostile. 
 

Alla fine di questa settimana credo di poter affermare che il miglior mezzo di trasporto sull’isola è l’autostop. Questo è molto significativo per capire quanto i lampedusani abbiano un carattere aperto e disponibile verso il prossimo. Loro, di uomini in cammino, ne hanno visti a migliaia negli ultimi venti anni. Basta tendere la mano col pollice all’insù e qualcuno si ferma sempre, in centro come in campagna, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il viaggio è sempre piuttosto breve, viste le ridotte distanze dell’isola, ma è una buonissima occasione per scambiare qualche parola.  Il pescatore che ci riporta verso il campeggio La Roccia a bordo di un’ape ha il volto scurito dal sole e con accento siciliano ci chiede cosa facciamo qui. E’ sorpreso di sapere che siamo un gruppo di più di quaranta persone, poi sospira e mi dice che quest’anno il turismo va male. Gli chiedo se pensa che la causa sia l’arrivo di migranti e lui mi ferma subito precisando che i lampedusani non ce l’hanno coi migranti, ma con i giornalisti.
 
Dice che hanno rovinato Lampedusa, il suo tono diventa piuttosto concitato. Mi dice di guardarmi intorno, vedo forse sull’isola la situazione caotica di cui non si è fatto altro che parlare in televisione e sui giornali? No, l’isola è immersa nella più totale tranquillità, di immigrati in giro non ne ho visto neanche uno, in più, spogliata del turismo di massa, Lampedusa offre il suo paesaggio aspro in tutta la sua nudità e bellezza. Chiedo al pescatore com’era invece la situazione tra febbraio e marzo. Mi dice che allora di immigrati ce n’erano in giro, in paese e molti scappavano nelle campagne, ma non facevano niente di male. Aggiunge che molti fuggivano perché nel centro di accoglienza gli veniva dato del cibo contenente sonnifero e loro proprio non se lo volevano mangiare.
 
Torna poi a parlare dei giornalisti, che venivano qui in quel periodo. Erano tanti, hanno parlato male dell’isola e continuano a far credere alla gente che qui sono invasi dagli immigrati anche se non è vero. Siamo arrivati. Scendiamo e salutiamo. Sono stata colpita dalla questione della somministrazione dei sonniferi attraverso i pasti. Sarà vero? Mi chiedo se il pescatore sia una fonte attendibile per un’affermazione del genere, che adesso ha bisogno di una spiegazione seria.
 
La domanda mi rimane dentro come un sasso sullo stomaco. Qualche giorno dopo incontriamo l’avvocatessa Alessandra Ballerini di Terres des Hommes, all’uscita della sua visita al centro per minori Loran. E’ l’occasione per fare questa domanda. Purtroppo mi conferma la veridicità del racconto del pescatore. Alessandra racconta di aver visto con i suoi occhi persone addormentarsi con la testa dentro al piatto in altre sue visite in diversi centri italiani. In una di queste occasioni ha richiesto delle analisi, i cui valori hanno confermato la presenza di sostanze barbituriche nel sangue dei migranti. Mi auguro che questa pratica illegale si sia interrotta, poiché la somministrazione nascosta e quindi forzata di farmaci ai migranti, al fine di sedarli e stordirli, può compromettere la loro salute, nonché si tratta di una pratica disumana e degradante che limita la loro libertà di disporre del proprio corpo e della capacità di vigilanza, costituendo di fatto una violazione dei loro diritti umani.
 
Ancora una volta ci spostiamo chiedendo un passaggio per strada.

Angelo, falegname, coglie l’occasione della nostra curiosità e delle nostre domande per sfogarsi un pò. Angelo è veramente arrabbiato per i problemi presenti a Lampedusa e noi gli chiediamo con chi ce l’ha.  Contrariamente a quanto ci aspettiamo, non ci parla della presenza dei migranti, né dei giornalisti, né del calo del calo dei turisti. Angelo decide di allungare un pò la strada per mostrarci concretamente i problemi di Lampedusa: lungo la strada mancano i marciapiedi e ci racconta di una bambina di 4 anni morta investita da un’auto.
 
Ci fa notare che i muretti che delimitano i bordi delle strade sono perfettamente costruiti nei pressi di hotel e residenze per turisti, ma pochi metri dopo, scompaiono. Ci mostra molte costruzioni storiche dell’isola, fatte con la pietra locale, che rappresentano un patrimonio della cultura dell’isola, completamente frananti e inagibili. Si chiede, perché lo Stato non investe nella conservazione dei beni culturali di Lampedusa? Ce lo chiediamo anche noi.
 
Ci racconta che molte di queste costruzioni tipiche sono state abbattute per costruire hotel o ville, senza nessuna autorizzazione delle Belle Arti.  Angelo parla come un treno e arrivati al campeggio si ferma perché vuole spiegarci meglio il suo punto di vista. Per Angelo i problemi di Lampedusa non sono i migranti. I politici vengono a Lampedusa solo quando ci sono gli sbarchi e poi si dimenticano di Lampedusa. Lampedusa non ha un ospedale attrezzato con un reparto di ostetricia.
 
Di fatto i lampedusani non possono nascere sull’isola ma devono andare a Palermo, a Catania o ad Agrigento, sostenendo ingenti costi,  e così vale per moltissimi esami clinici e cure mediche che qui non possono essere effettuate. Angelo dice che l’isola riceve dei fondi statali ed europei ed il canale per richiederli molto spesso è quello degli aiuti per la questione immigrazione, ma Angelo dice che poi questi soldi i politici locali non li investono come dovrebbero e né migranti né lampedusani beneficiano di questi finanziamenti. Angelo ci dice che di quest’isola ci si ricorda solo quando lo decidono i politici, la tv e i giornali e si ha l’impressione di non fare parte dell’Italia, di essere respinti, non ascoltati, non accolti nelle richieste fondamentali, dimenticati. Dal lungo racconto di Angelo, ci prende un po’ la sensazione che a Lampedusa migranti e lampedusani abbiano più in comune di quanto sembri. Angelo ci saluta. Mentre ci incamminiamo, lo vediamo tornare indietro. Si affaccia al finestrino dicendoci che si è dimenticato di dirci una cosa: è di Milano, e a scelto di vivere a Lampedusa, l’isola che non cè.

Incontro Don Stefano, parroco di Lampedusa, nel suo ufficio, dopo l’incontro tra il nostro campo e alcuni esponenti della Caritas. Lo cerco per porgli una domanda precisa. Questa domanda viene da lontano, dal periodo dell’emergenza di febbraio-marzo, quando la tv e i giornali parlavano quotidianamente  e incessantemente degli arrivi di migranti a Lampedusa e tutto il mondo politico era in subbuglio.
 
Tra le innumerevoli voci politiche, poco emergeva un’altra voce, quella della Chiesa, che in tante occasioni della vita politica italiana pronuncia la sua visione dei fatti con grande partecipazione. La domanda che nacque in quel momento non riguardava infatti la politica del governo italiano per far fronte a quella che era divenuta un’emergenza, ma era rivolta alla Chiesa cattolica di Roma. Ricordo che il cardinale Bagnasco si fece intervistare dai tg nazionali e la sola cosa che fece fu additare l’Unione Europea, dicendo che stava abbandonando lo Stato italiano in un momento di grande difficoltà e che avrebbe dovuto invece condividere il problema  del grande afflusso di migranti a Lampedusa con una politica di accoglienza comunitaria.
 
Questa fu l’unica cosa che il portavoce ufficiale della Chiesa romana pronunciò.  La mia domanda fu: perché invece di individuare le responsabilità dell’Unione europea, la Chiesa non si è proposta in primo luogo come istituzione attiva nell’accoglienza dei migranti, di fronte a quella che poteva considerarsi un’emergenza umanitaria, in quei 56 giorni tra febbraio e marzo? Pongo la domanda a Don Stefano. Mi risponde che lui stesso si è meravigliato del silenzio delle istituzioni ecclesiastiche all’inizio dell’emergenza, così tanto che prese la decisione di scrivere direttamente alla Santa sede. Dopo un po’ di tempo,  giunse una risposta, una lettera, che diceva di non preoccuparsi, che la Chiesa non avrebbe lasciato sola la comunità cattolica di Lampedusa.
 
Di fatto, Don Stefano ci racconta che è stata la diocesi locale ad attivarsi, raccogliendo in poco tempo viveri e vestiario, giocattoli per i piccoli migranti e altri generi di prima necessità, organizzando la spedizione del materiale raccolto con un tir. Il vescovo stesso, ci racconta Don Stefano, è stato molto presente a Lampedusa in quel periodo, li ha sostenuti ed aiutati, rimanendo lontano dai riflettori della politica, dei giornali e della tv. A quel punto, non capendo cosa di concreto la Santa sede abbia disposto per non abbandonare a se stessi i fedeli lampedusani e i migranti, chiedo a Don Stefano se ha ricevuto messaggi di solidarietà e proposte di accoglienza per i migranti da altre parrocchie d’Italia. Mi risponde che qualche parrocchia li ha contattati, offrendo 10-15 posti per l’accoglienza di migranti.
 
Non era molto, ma si sono mostrati uomini di buona volontà, come si usa dire in ambito ecclesiastico. Di fatto, non era praticamente possibile alloggiare i migranti presso altre parrocchie, dice Don Stefano, perché tutta la procedura doveva passare dalle forze dell’ordine statali ed era molto complicato ottenere il permesso, per non dire impossibile. Mi racconta di un altro gesto di solidarietà che lo ha molto colpito: un postino di Gradisca, in Friuli Venezia Giulia, lo contatta. Si dichiara ateo, ma afferma di non condividere assolutamente la gestione dell’emergenza da parte dello Stato italiano e decide di devolvere mille euro, lo stipendio di un mese intero, per aiutare i migranti che in quel momento alloggiavano nei locali della parrocchia di Don Stefano. Saluto Don Stefano e lo ringrazio per la sua disponibilità. Uscendo dal suo ufficio, mi rimane una domanda, a cui probabilmente Don Stefano non avrebbe potuto rispondere: cosa ha impedito alla Chiesa di Roma di dispiegare le sue risorse materiali e spirituali, di cui di certo è ricca, per organizzare un aiuto concreto a favore dei lampedusani e dei migranti? Vorrei che qualcuno potesse rispondermi, perché credenti o non credenti, sono convinta che in questo Paese ci siano ancora uomini di buona volontà.

Uscendo dall’ufficio di Don Stefano, insieme al fotografo di Amnesty International Fulvio Bugani, una coppia di parrocchiani ci offre un passaggio per tornare al campeggio. Durante il tragitto incontriamo militari dell’esercito e camionette della polizia o della guardia di finanza. Chiediamo ai due lampedusani come convivano con questa diffusa presenza delle forze dell’ordine sull’isola. Ci rispondono con ironia che oramai fanno parte del paesaggio, si sono abituati, ma sono consapevoli che è in atto una forte militarizzazione del territorio. Gli chiediamo se nel periodo di febbraio-marzo 2011, quando circa seimila migranti si trovavano a Lampedusa, hanno provato paura e insicurezza. I due iniziano a raccontarci la loro esperienza. In quei giorni un grande numero di migranti si mescolava alla popolazione di Lampedusa. I bar, tipico luogo di ritrovo sull’isola, erano affollati di lampedusani e migranti insieme.  I migranti spesso bussavano alla loro porta, dicendo in francese ‘abbiamo fame’.
 
In quel periodo la coppia comprava del pane e delle uova in più per loro e gli preparavano panini con il tonno, consapevoli del fatto che non mangiavano affettati, in quanto di religione musulmana. Spesso avevano bisogno di lavarsi, e gli offrivano una doccia. La coppia ha ospitato un migrante tunisino per qualche tempo, il giovane Rachid. Il ragazzo aveva un fratello a Reggio Emilia e voleva raggiungerlo. A questo punto del racconto noto che i nostri accompagnatori si emozionano nel ricordare il periodo in cui Rachid ha fatto parte della loro famiglia. Quando sono iniziati i trasferimenti dei migranti, la coppia lampedusana non si è sentita di nascondere il giovane alle autorità per paura di andare incontro a gravi problemi legali. Rachid è stato rimpatriato nel suo paese d’origine e la coppia ha ricevuto moltissime telefonate dal fratello, estremamente preoccupato per la sua sorte e ansioso di avere notizie. Purtroppo le informazioni giunte alla coppia non sono state positive: il giovane era stato torturato e maltrattato nel suo paese, poi era riuscito a fuggire e ad imbarcarsi di nuovo. In seguito non hanno più saputo niente di lui. Aspettano ogni giorno una sua chiamata, per sapere dove si trovi e come stia, se ce l’abbia fatta o se si trovi in condizioni di pericolo. I due lampedusani ci confessano di essersi pentiti di non averlo nascosto e non riescono a perdonarselo. Li salutiamo calorosamente, mostrandogli la nostra comprensione. E’ uno strano paradosso, vivere in un’ isola così militarizzata e essere consapevoli che tutte queste forze dispiegate per la sicurezza non sono in grado di garantire la protezione di un essere umano.
 
Passeggiamo per Via Roma, avviandoci in gruppo verso il porto vecchio, per salire alla Porta d’Europa, dove incontreremo i ragazzi di Alternativa Giovani. Ho la reflex al collo e passando davanti ad un locale un ragazzo lampedusano a petto nudo mi chiede di fargli una foto per condividerla su Facebook. Si chiama Melchiorre, a lui si uniscono due camerieri con la maglietta del locale. Scatto la foto e inizio a scambiare due chiacchere. Chiedo a Melchiorre come ha vissuto il periodo dell’emergenza. Mi dice che in quei giorni la popolazione era esasperata perché nessuno riusciva a gestire la situazione, i migranti erano tantissimi, troppi per Lampedusa. I lampedusani hanno organizzato una protesta: hanno schierato quaranta barche coinvolgendo anche i bambini per bloccare l’accesso al porto. Gli chiedo se gli abitanti erano arrabbiati con i migranti e mi risponde che la manifestazione era contro il governo, perché non stava trovando una soluzione adeguata per questa situazione. Devo seguire il gruppo e lo saluto. Nei miei ricordi dei servizi televisivi su Lampedusa, c’è l’immagine delle donne ammanettate al porto, descritta come una protesta contro i migranti. Ci penso e ci ripenso ma mi rendo conto che né televisioni né giornali hanno mai parlato di quaranta barche schierate al porto di Lampedusa con tanto di bambini a bordo, per protesta contro il governo.

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Lampedusa – isola dei diritti umani